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Il sostegno alla compliance in sanità

Il sostegno alla compliance in sanità

Sai capire se il tuo paziente rispetta correttamente la terapia assegnata?

Per raggiungere gli obiettivi terapeutici è fondamentale considerare questo aspetto nella gestione dei tuoi pazienti.
Scopri le strategie per poter migliorare la compliance nella tua pratica quotidiana.

Data di pubblicazione: 02 luglio 2018

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Il termine compliance indica l’adesione del paziente alle prescrizioni mediche, siano esse farmacologiche, igieniche, per esami o altro. Ne sono esempio il rispetto della posologia nell’assunzione dei farmaci indicati o della dieta, l’abbandono di fumo, alcool e droghe, l’aumento del moto e il rispetto degli appuntamenti per le visite.

Il paziente che rispetta le istruzioni almeno per l’80% è definito “compliante”, mentre al di sotto del 20% viene indicato come “resistente”. 

È fondamentale che il paziente sia compliante, poiché le terapie modificate o interrotte in modo arbitrario perdono di efficacia, così come gli accertamenti disertati impediscono diagnosi tempestive. In questi casi il paziente non migliora quanto potrebbe e può aggravarsi, con aumento di interventi medici, ricoveri, indagini di laboratorio e trattamenti. Possono anche registrarsi farmaco-resistenze e diffusione di malattie infettive, mentre i costi sanitari aumentano. La qualità della vita del paziente peggiora e il medico è a rischio di frustrazione e burn-out, a meno che non sviluppi la necessaria forma di distacco professionale basato su una forma di empatia cognitiva.

Occorre pertanto esplorare il tema, a partire dalla seguente considerazione. Il termine “compliance”, di origine inglese, viene talvolta reso in italiano con “acquiescenza”, che ha il significato di “arrendevolezza”. Risulterebbe quindi che il paziente debba essere docile e mansueto rispetto alle indicazioni del medico. Poiché questo non sempre avviene e contrasta con l’idea di un paziente consapevole, occorre intervenire con strategie specifiche.

La compliance si sostiene in primo luogo intervenendo sulle cause che la riducono. Occorre quindi conoscerle per agire sulla comprensione, la motivazione e le possibilità del pazienterimuovendo eventuali ostacoli operativi o simbolici.

Cause di compliance insufficiente

La compliance si sostiene in primo luogo intervenendo sulle cause che la riducono. Occorre quindi conoscerle per agire sulla comprensione, la motivazione e le possibilità del pazienterimuovendo eventuali ostacoli operativi o simbolici.

Alcune cause sono oggettivamente legate al paziente

La difficoltà personale nel comprendere le istruzioni o gli impedimenti legati all’assunzione del farmaco, come la difficoltà di aprire flaconi o deglutire, possono portare all’esecuzione parziale o all’abbandono della terapia. Anche forme di depressione o di forte stressdisordini cognitivi e deficit di vario tipo influiscono in negativo sulla compliance. L’età stessa può incidere: per il rispetto della terapia bambini e adolescenti dipendono infatti dall’attenzione dei genitori, mentre gli anziani possono avere necessità di un sostegno.

Risultano legate al paziente anche cause di tipo soggettivo

Ne sono esempi i timori di effetti avversi o dipendenza, un senso di superiorità rispetto alla malattia o alla scienza medica, la cattiva contro-informazione o un orientamento aprioristico alla medicina alternativa. Rileva anche l’indisponibilità del paziente a modificare il proprio stile di vita. Come pare abbia affermato Ippocrate, “Prima di guarire qualcuno, chiedigli se sia disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare”.

Il disagio economico è un ulteriore elemento rilevante

Risulta che un alto numero di pazienti in ristrettezze rinunci a cure ritenute costose rispetto ad altre priorità, con le conseguenze del caso. Il 7° Rapporto di Censis e Rbm Assicurazione Salute, intitolato “La sanità italiana al tempo dell’universalismo selettivo”, presentato a Roma nel corso del “Welfare Day 2017”, riporta che nel 2016 oltre 12 milioni di italiani – un milione 200 mila in più rispetto al 2015 – hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per motivi economici, soprattutto nella fascia fra i 45 e i 54 anni. Anche il 4,4 % delle prescrizioni viene disatteso per le stesse ragioni, con punte di oltre il 5% sempre nella fascia di età tra 45 e 54 anni. Secondo i dati Istat, infatti, nel 2016 quasi una persona su tre (30% contro il 28,7% dell’anno precedente) è ad alto rischio povertà.

Anche il passaggio al farmaco generico può denotare rischi. Infatti, possono verificarsi errori di assunzione per questioni percettive legate al nome, alla forma e alla confezione del nuovo prodotto, oppure abbandoni della terapia per mancanza di automatismi e caduta dell’effetto placebo.

Alcune cause di bassa compliance sono legate alla terapia o al farmaco stesso

Le indicazioni sono spesso disattese in caso di alto numero di assunzioni nella giornata o di terapie complesse, quando i farmaci risultano sgradevoli ai sensi, se presentano modalità di assunzione fastidiosa o hanno aspetto e nomi simili che generano confusione. Anche indicazioni troppo restrittive o poco apprezzate, come eliminare alcol, formaggio e dolci, fare moto o stare immobili, possono essere trasgredite per le priorità o lo stile di vita del paziente. In questa categoria può essere compresa anche la difficoltà di raggiungere le strutture sanitarie. Il rapporto Censis evidenzia infatti come 11 milioni di italiani farebbero a meno delle cure per disservizi cittadini e soprattutto per mancanza di trasporti che conducono al luogo di cura, con particolare riferimento agli over 75. Al contrario, si registrano casi di valenza fantasmatica del farmaco, che viene richiesto di continuo per l’effetto placebo o la sua valenza nutritiva, al punto che il paziente aumenta in autonomia il dosaggio.

Rileva anche il rapporto con la malattia in quanto tale

Il paziente potrebbe rifiutare le indicazioni mediche perché respinge in toto l’idea di essere vulnerabile o perché la patologia non è ancora insorta, nonostante egli sia a rischio e occorra agire in prevenzione. Anche nelle patologie croniche, quando l’ammalato è consapevole di non poter guarire ma al massimo di controllare i sintomi, può esasperarsi e abbandonare la cura.

Talvolta la compliance è bassa per motivi legati al decorso della malattia

La riduzione o la scomparsa dei sintomi prima del termine del ciclo terapeutico, il ritardo nella comparsa dei benefici o l’insorgenza di effetti collaterali fastidiosi possono essere origine di interruzioni arbitrarie della terapia. Per contro, taluni pazienti procedono ad automedicazioni incongrue poiché si basano sul solo sintomo, come per l’assunzione di antibiotici in presenza di affezioni virali.

Vi sono anche motivi legati alla relazione fra medico e paziente

Uno in particolare è dato dallo scarso tempo a disposizione per le visite, che riduce la possibilità di instaurare una relazione e genera impedimenti nell’attivare l’empatia professionale. Talvolta le difficoltà di rapporto derivano invece dall’approccio del paziente, che peregrina da un ambulatorio all’altro in una sorta di nomadismo sanitario, alla ricerca di un medico ritenuto oscuramente “migliore”.

Come migliorare la compliance

Questo effetto si ottiene intervenendo sulle cause del fenomeno. I punti fondamentali riguardano un’indagine sull’accettazione della patologia da parte del paziente, sulla sua possibilità effettiva di capire e seguire le indicazioni e sul suo desiderio di coinvolgimento nel programma di cura.

Far arrivare le informazioni

È funzionale che il medico, illustrando malattia e terapia, proceda per punti dando indicazioni schematiche. Inoltre, verificare la comprensione del paziente, esortandolo a esporre domande e preoccupazioni, può essere d’aiuto nel favorire il passaggio di informazioni e rafforzare la collaborazione medico-paziente.

Esorcizzare gli elementi di riduzione della compliance

legati al decorso della malattia. Occorre che la chiarezza delle informazioni generi aspettative realistiche sugli effetti terapeutici e sui tempi per raggiungerli. È utile, inoltre, illustrare le conseguenze infauste di modificazioni o sospensioni arbitrarie della terapia. Un discorso a parte vale invece per i possibili effetti collaterali, che possono essere somatizzati a prescindere dal farmaco. Una strategia consiste allora nel segnalare solo quelli critici, avvertendo il paziente che segnali eventuali anomalie ulteriori.

Rimuovere gli ostacoli

Può essere utile identificare e discutere le possibili difficoltà oggettive e soggettive che possono ridurre l’aderenza alla terapia, individuando strategie utili a prevenirle. Ad esempio, tenuto conto di come la necessità di assumere un farmaco in più momenti della giornata possa ridurre il rispetto delle prescrizioni, dove sia possibile è utile sostituire l’applicazione di un unguento ogni otto ore con cerotti da cambiare una volta al dì. Invece, per le questioni economiche che ostacolano la terapia possono essere fornite indicazioni sulle strutture assistenziali e caritative.

Il rapporto con la famiglia del paziente

Il supporto della famiglia e delle reti di sostegno sociale risulta utile per migliorare la compliance. Quando possibile occorre quindi coinvolgere i congiunti del paziente, rendendoli consapevoli della malattia e dei vari aspetti legati alla terapia.

Sostenere la memoria

Secondo alcune statistiche, già nel momento in cui lascia l’ambulatorio la maggior parte dei pazienti dimentica circa il 50% di quello che il medico ha detto. Pare anche che la metà di quello che ricorda sia distorta. Occorre quindi chiarire le finalità, le priorità e le modalità del trattamento con scritti che aiutino il paziente e la sua famiglia a ricordare. In caso di multiterapia risulta efficace ancorare la posologia al ciclo circadiano del paziente, ad esempio facendo associazioni con colazione, pranzo e cena. Anche aggregare le istruzioni per punti principali e fare un breve riassunto finale può sostenere il ricordo.

Sviluppare la competenza

Il medico si trova oggi nella condizione di raggiungere risultati di condivisione, comprensione, motivazione e sostegno alla compliance in tempi sempre più brevi. Questo richiede lo sviluppo di competenze trasversali come la comunicazione e la costruzione della fiducia. Anche le abilità tecniche e manuali sono rilevanti, in modo che il paziente provi il minor disagio possibile durante taluni esami invasivi e ne sia favorita la compliance. Il confronto con alcuni colleghi scelti con criterio per una riflessione comune e lo sviluppo di un equilibrio interiore quando il paziente comunque disattende le indicazioni ricevute concorrono a completare il quadro.

L’evoluzione del concetto

Fermo restando che il termine “compliance” è di uso internazionale e risulta quindi opportuno mantenerlo senza traduzioni, il concetto di “acquiescenza” potrebbe oggi evolvere in quello di “conformità”, dove il medico agisce in modo che il paziente veda la norma come un comportamento positivo e praticabile, affinché possa e voglia aderirvi. Si passa così dalla definizione di un modello ideale che si impone sul dato di realtà, con tutti i rischi del caso, a un processo che tende a strutturare il modello reale per renderlo il più vicino possibile a quello ideale. Oltre questo limite, sarà necessario sostenere ulteriormente la consapevolezza del paziente.

L’autore

Dr. Paolo Boschi

Presidente Agenzia Formativa A.P.O.Ge.O. – Firenze

Bibliografia

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  • Bobbo, Ad ali legate. Adolescenza e malattia cronica. Tra compliance e desiderio d’essere, CLEUP, 2010
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