L’infezione da nuovo Coronavirus nei bambini
Nei bambini l’infezione da SARS-Cov-2 presenta un decorso tendenzialmente più benigno, anche se non è del tutto esclusa la possibilità di complicanze sistemiche. Tra queste, è stata riscontrata una sindrome infiammatoria acuta multisistemica associata a positività per il SARS-CoV-2 o a presenza di autoanticorpi anti SARS-CoV-2. La pandemia ha fatto emergere numerose carenze del sistema sanitario, ha avuto ripercussioni sulla salute mentale di bambini e adolescenti, ha inciso sugli accessi in pronto soccorso e ha evidenziato una preoccupante relazione tra l’aumento di peso e la severità della malattia da COVID-19.
Data di pubblicazione: 10 giugno 2021
Il nuovo Coronavirus
La pandemia da nuovo Coronavirus (SARS-Cov-2), isolato a Wuhan (Provincia cinese dell’Hubei) alla fine del 2019, ha sorpreso il mondo e ha determinato gravose conseguenze anche in Italia. Si tratta di un patogeno respiratorio in grado di causare un’ampia varietà di infezioni, dal comune raffreddore a sindromi respiratorie come la SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Grave, Severe Acute Respiratory Syndrome) e la malattia COVID-19, com’è stata battezzata l’11 febbraio 2020 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.1-3
In passato il Coronavirus era per lo più di interesse zootecnico, e i sette ceppi che infettano l’uomo potrebbero essere stati acquisiti da altre specie animali: l’avvento del SARS-Cov-2 ha, quindi, caratterizzato uno scenario del tutto nuovo.2,3 Il SARS-Cov-2 è altamente contagioso e si trasmette da un individuo infetto, o da un portatore asintomatico, attraverso goccioline respiratorie, secrezione lacrimale e contatti stretti.1 Va osservato che, a differenza di altri virus, la contagiosità non soltanto ha inizio alcuni giorni (circa 5-6) prima dei sintomi, ma persiste per un periodo molto più lungo (sono stati perfino segnalati intervalli ancora più lunghi, fino a 37 giorni).4
Le manifestazioni cliniche
La maggior parte dei bambini infettati dal SARS-CoV-2 presenta una malattia lieve che il più delle volte non richiede il ricovero in ospedale (i soggetti più a rischio di complicanze sono quelli di età inferiore a 12 mesi).1 Per spiegare questo dato sono state formulate varie ipotesi, talvolta anche contrastanti, tra cui:
- una ridotta attivazione del sistema citochinico nel corso dell’infezione1
- una minore espressione del recettore ACE2, a cui si lega il virus per entrare nelle cellule6
- una maggiore probabilità di co-infezione da parte di altri virus respiratori, che esplicherebbero così un effetto competitivo nei confronti del SARS-Cov-2.6
Per quanto riguarda i sintomi, febbre e tosse sono quelle più comuni, in alcuni casi accompagnate da affaticamento, mialgia, congestione nasale, starnuti, mal di gola, mal di testa, vertigini, vomito e dolore addominale. Alcuni bambini non presentano febbre, ma soltanto tosse o diarrea, mentre altri, neonati inclusi, mostrano sintomi atipici come disturbi gastrointestinali oppure solo asma e mancanza di respiro.1 Secondo uno studio, la febbre, è uno dei sintomi più comunemente riscontrato nella popolazione pediatrica italiana, rispetto a quella cinese e americana, mentre i sintomi gastrointestinali sono risultati simili tra le tre coorti (6,4-11% per nausea e vomito, 8,8-13% per la diarrea).1 Manifestazioni neurologiche (convulsioni febbrili e non), sono state osservate nel 3% dei bambini all’esordio di COVID-19, sebbene nessuno abbia sviluppato encefalite correlata alla SARS-CoV-2.7 Una complicanza del tutto particolare è una sindrome infiammatoria acuta multisistemica che sembra condividere alcune caratteristiche cliniche con la malattia di Kawasaki ma che, in realtà, potrebbe essere una forma clinica che andrebbe differenziata dalla prima: questa nuova condizione è stata denominata MIS-C (Multisystem Inflammatory Syndrome in Children).1,8,9
Kawasaki o infiammazione multisistemica?
L’interrogativo ha stimolato ampia discussione nella comunità scientifica, che si è, per così dire, divisa tra i sostenitori di una malattia di Kawasaki con differente fenotipo e quelli di un quadro sindromico fisiopatogeneticamente del tutto distinto. I dati epidemiologici della malattia di Kawasaki suggeriscono un’eziologia infettiva, tuttavia al momento non è stata ancora stabilita un’associazione con l’infezione da SARS-CoV-2. In particolare non è possibile al momento attuale verificare se il numero dei soggetti affetti sia aumentato quest’anno in concomitanza con l’epidemia da COVD-19.1
A conferma, uno studio collaborativo dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù con il Karolinska Institutet di Stoccolma ha chiarito che la reazione infiammatoria correlata all’infezione da SARS-Cov-2, caratterizzata da vasculite e coinvolgimento cardiaco e intestinale, è da ascrivere alla MIS-C.2 Rispetto ai bambini con Kawasaki, in quelli affetti da COVID-19 che sviluppano MIS-C è stata individuata un’elevata presenza di auto-anticorpi diretti contro l’endoglina, una glicoproteina prodotta dall’endotelio vascolare, in particolare a livello cardiaco, essenziale per l’integrità delle arterie, la proteinchinasi MAP2K2 e tre componenti della famiglia della caseina chinasi. La via della caseina chinasi 2, in particolare, sembra determinante nella replicazione del virus.9 Inoltre, sono state evidenziate differenze sostanziali anche in relazione alle sottopopolazioni di linfociti T. Dai risultati della ricerca sono poi emersi orientamenti terapeutici differenziati per la MIS-C e la malattia di Kawasaki. Per quest’ultima è emersa per la prima volta la potenziale efficacia di una strategia mirata al blocco dell’interleuchina 17 al fine di controllare la tempesta citochinica, responsabile delle sue manifestazioni cliniche.9
Altre implicazioni meno note ma altrettanto rilevanti
La pandemia da COVID-19, come già segnalato nel maggio 2020, a prescindere dalle complicanze cliniche, ha sollevato numerose problematiche assistenziali e ha slatentizzato criticità sociali e psicocomportamentali che è opportuno non ignorare. Basti pensare, per fare solo qualche esempio, alle ripercussioni che i provvedimenti restrittivi hanno avuto sulle abitudini, sullo stile di vita, sulla sfera relazionale, sulla frequenza scolastica e sulle strategie di adattamento; all’aumento dello stress per i genitori, tra precarietà economica e difficoltà gestionali della routine quotidiana; ai maggiori rischi a cui sono stati esposti bambini e famiglie che già si trovavano in condizioni di fragilità e sovraffollamento ambientale: rischi ai quali si è poi aggiunta l’ulteriore difficoltà di accesso ai servizi sanitari e sociali.1
Altre due conseguenze “indirette” sono rappresentate dal cambiamento dello spettro di patologie. Nell’esperienza del Policlinico San Matteo di Pavia, pubblicata su Acta Pediatrica, per esempio, è stato riscontrato un incremento dei traumi del 61% (da 77 casi nel 2019 si è passati a 124 durante il lockdown) e dal 3,3% al 19,2% come percentuale di casi.2 Gli autori hanno, per contro, registrato una riduzione significativa di casi di otite media acuta (da 100 a 4), rinofaringite (da 278 a 42), dolore addominale (da 220 a 41), varicella e scarlattina (rispettivamente da 23 e 16 a zero).11 Si può dunque teorizzare che l’adozione del distanziamento sociale e delle precauzioni igieniche per contenere il COVID-19 sia oltremodo vantaggiosa nel ridurre la circolazione dei comuni patogeni. Più sorprendente è un altro aspetto che, per le sue potenziali implicazioni non deve essere sottovalutato: il preoccupante aumento di sovrappeso e obesità nel corso del lockdown. La realtà nazionale, descritta dal sistema di sorveglianza attivo in Italia Okkio alla Salute3, già nel 2019, evidenziava una prevalenza di sovrappeso e obesità, rispettivamente del 20,4% e 9,4%, con una leggera predominanza di obesità nei maschi (9,9% vs 8,8% nel sesso femminile). Inoltre, dall’ultima rilevazione dell’iniziativa della Regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “Childhood Obesity Surveillance Initiative – COSI” l’Italia è risultata tra le prime tre nazioni con i valori più elevati di eccesso ponderale nei bambini, insieme ad altri Paesi dell’area mediterranea, preceduta – con un lieve scostamento – soltanto da Spagna e Malta.4 Questo scenario, di per sé allarmante si è ulteriormente accentuato negli ultimi mesi: infatti, l’obesità è una comorbidità con alta prevalenza in casi severi di COVID-19 in bambini e adolescenti.14 Questo aspetto dovrebbe indurre a riflettere sulle possibili correlazioni tra obesità e COVID-19 e insulinoresistenza, dislipidemia, sviluppo di aterosclerosi e steatosi non alcolica.5 Una nuova epidemia, quindi, in seno alla pandemia, se si considera che, oltre all’incremento numerico, bisogna anche valutare come una gestione insufficiente, o assente, del problema in età pediatrica si riverserà in maniera esplosiva nei prossimi anni sulla popolazione adulta.
L’autore
Dr. Piercarlo Salari
Medico chirurgo specialista in Pediatria
Responsabile del gruppo di lavoro per il sostegno alla genitorialità SIPPS
Bibliografia
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