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L’abusivismo della professione medica

L’abusivismo della professione medica

Data di pubblicazione: 06 settembre 2021

Aspetti generali

Il reato è configurabile esclusivamente rispetto alle professioni c.d. protette o regolamentate, quelle per l’esercizio delle quali è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Anche la mancata iscrizione al corrispondente albo professionale, nei casi in cui è istituito, integra la fattispecie di reato in discorso: in questi casi, pertanto, per il legittimo esercizio della professione, non è sufficiente il conseguimento del titolo abilitante (superamento dell’esame di stato) ma è necessaria anche l’iscrizione all’albo.

Ne deriva, tra l’altro, che il professionista colpito dalla sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione, commetterà il reato di esercizio abusivo se, malgrado la sospensione, compirà atti riservati alla sua professione. Può inoltre incorrere nel reato anche chi, regolarmente abilitato all’estero, eserciti la professione in Italia senza che il titolo sia stato riconosciuto dallo Stato.

Si tratta di norma penale in bianco, come affermato anche dalla Corte costituzionale con sentenza n. 199/1993, giacché per la configurazione specifica del reato occorre fare riferimento, caso per caso, alle disposizioni extra-penali che stabiliscono, per certe professioni, specifici requisiti e condizioni oggettive e soggettive.

La norma penale è posta a tutela dell’interesse pubblico: si tratta infatti di un reato contro la pubblica amministrazione. Un’importante conseguenza di tale configurazione è che l’eventuale consenso liberamente prestato da parte del destinatario della prestazione professionale abusiva non esclude il reato.

Si pensi al caso di una persona che, consapevolmente, si affida alle cure di un guaritore: costui commetterà egualmente il reato di esercizio abusivo della professione medica, malgrado il consenso e la libera determinazione del malato.
Per contro, soggetto passivo del reato, oltre allo Stato per la tutela dell’interesse pubblico di cui si è detto, ben può essere e di solito è anche il soggetto privato che ha ricevuto la prestazione abusiva e che ne abbia tratto un danno, patrimoniale o non patrimoniale.
L’elemento soggettivo rilevante è il dolo, ossia la coscienza e volontà di compiere abusivamente atti riservati ad una professione protetta; pertanto, non sono punibili a questo titolo fatti meramente colposi, come nel caso dell’erroneo convincimento nel soggetto agente di possedere i requisiti obbligatori per l’esercizio della professione.

A proposito degli atti riservati, si segnala l’indirizzo piuttosto severo della Corte di cassazione, secondo la quale:

Integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché l’attività venga svolta con modalità tali, per continuatività, onerosità ed organizzazione, da creare l’oggettiva apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.1

La sufficienza, per la sussistenza del reato, di una “oggettiva apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato” si spiega agevolmente, considerando la natura pubblicistica dell’interesse tutelato dalla norma penale, essendo imperativa, per lo Stato, la salvaguardia di determinate professioni particolarmente delicate e rilevanti sotto il profilo sociale.

L’esercizio abusivo della professione medica

Il diritto alla salute, come è noto, è oggetto di tutela costituzionale; 2 come tale è tra i compiti primari dello Stato la salvaguardia della salute della persona e, su un piano più generale, della sanità pubblica. La norma penale sul reato di esercizio abusivo di una professione, come si è appena visto, non contempla specificatamente la professione medica o altre professioni sanitarie, ma con previsione di carattere generale mira a reprimere le condotte abusive relative a qualsiasi professione regolamentata.

Ciò non toglie che, anche scorrendo l’infinita casistica in proposito, l’esercizio abusivo della professione medica o di altre professioni sanitarie desti particolare allarme sociale, per la particolare rilevanza e l’accentuata offensività che tali condotte possono in concreto assumere sul bene primario della salute e sull’integrità psicofisica delle persone.

 

L’atto medico

Da altro punto di vista e malgrado tali caratteristiche, il reato di esercizio abusivo della professione medica impone una rigorosa analisi dei suoi elementi costitutivi che– contrariamente a quanto forse ci si potrebbe aspettare – non sono sovente, in concreto, così scontati e definiti. La questione fondamentale, a tal proposito, è la qualificazione penalmente rilevante di “atto medico”, ancora oggi non compiutamente risolta nella dottrina giuridica e medico legale e, di fatto, alquanto sfumata nei propri contorni.

È soltanto quando si sia in presenza di un autentico “atto medico” abusivamente eseguito, infatti, che potrà ritenersi integrato il reato di esercizio abusivo della professione medica e, soprattutto con il proliferare della regolamentazione delle professioni sanitarie non mediche, molte sono le zone di confine che rimangono in ombra.

«Per atto medico si intende ogni attività posta in essere dal sanitario, a ciò abilitato secondo la legge dello Stato, praticata secondo le regole proprie della professione, in funzione del miglioramento delle condizioni di salute, del paziente o di altri: non solo è compresa l’attività propriamente terapeutica, rivolta al miglioramento della salute “intesa nell’accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona” (Art. 3, II comma Cod. Deont.), ma anche di quella diagnostica, strumentale, consultiva, preparatoria, preventiva rieducativa, antidolorifica, solidaristica e sperimentale, attività che, da un lato, è sempre finalizzata al miglioramento delle condizioni di benessere psico-fisico della persona e, dall’altro, comporta una ingerenza da parte del medico nella sfera dei diritti di natura personalissima». 3

Nel diritto positivo, non aggiunge molto la disposizione normativa di cui alla L. n. 190/2014 (art. 1, co. 566) che riserva alle competenze dei laureati in medicina e chirurgia gli atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia.
Si può ben comprendere come, a fronte di una definizione così, allo stesso tempo, ampia e vaga, si possono presentare casi, nella pratica giudiziaria, di non agevole collocazione e, ancor prima, non si può escludere in assoluto l’evenienza di condotte, magari in perfetta buona fede, che possono inconsapevolmente condurre alla commissione del reato.4

 

Le professioni sanitarie non mediche

Pur non avendo lo spazio per una disamina approfondita ed esaustiva dell’argomento, si ritiene utile per l’inquadramento delle problematiche sottese all’esercizio abusivo della professione medica, quanto meno richiamare la L. 26 febbraio 1999, n. 42 (Disposizioni in materia professioni sanitarie) e la L. 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica), che hanno riorganizzato e perfezionato l’intera materia delle professioni sanitarie.

Si consideri la figura professionale dell’infermiere 5 che è oramai totalmente autonomo e responsabile sul piano civile, amministrativo e penale degli atti di propria esclusiva competenza, non più soggetto, inoltre, all’obbligo di vigilanza del medico; come anche quella dell’ostetrico, 6 chiamato per esempio ad attuare le misure preventive, l’individuazione di anomalie nella madre o nel bambino, gli interventi necessari ad assicurare l’assistenza medica e, persino, l’esecuzione di provvedimenti d’urgenza in assenza del medico.
Solo richiamando i due esempi che precedono è facile comprendere come possa rivelarsi insidiosa, nella pratica quotidiana, la reciproca delimitazione delle competenze e “riserve” professionali nel mondo sanitario.

Vale la pena, per inquadrare in maniera più completa la questione, di riportare almeno le seguenti norme, dalla citata L. n. 251/2000:

ART. 2 – PROFESSIONI SANITARIE RIABILITATIVE. Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area della riabilitazione svolgono con titolarità e autonomia professionale, nei confronti dei singoli individui e della collettività, attività dirette alla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione e a procedure di valutazione funzionale, al fine di espletare le competenze proprie previste dai relativi profili professionali [omissis].
ART. 3 – PROFESSIONI TECNICO-SANITARIE. Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area tecnico-diagnostica e dell’area tecnico-assistenziale svolgono, con autonomia professionale, le procedure tecniche necessarie alla esecuzione di metodiche diagnostiche su materiali biologici o sulla persona, ovvero attività tecnico-assistenziale, in attuazione di quanto previsto nei regolamenti concernenti l’individuazione delle fi gure e dei relativi profili professionali definiti con decreto del Ministro della Sanità [omissis].
ART. 4 – PROFESSIONI TECNICHE DELLA PREVENZIONE. Gli operatori delle professioni tecniche della prevenzione svolgono con autonomia tecnico-professionale attività di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande, di igiene e sanità pubblica e veterinaria. Tali attività devono comunque svolgersi nell’ambito della responsabilità derivante dai profili professionali [omissis].

 

Casistica

La giurisprudenza e la dottrina giuridica e/o medico-legale sulla questione delle pratiche mediche abusive sono assai vaste e non è possibile darne conto in maniera strutturata in questa sede. Si ritiene però utile ed efficace presentare in maniera schematica una serie di casi, che possono fornire una buona esemplificazione.

Sono stati giudicate come integrative del reato di cui all’art. 348 c.p. le seguenti fattispecie:

  • fisioterapista che, in assenza di prescrizione, ponga in essere trattamenti sanitari: la laurea in fisioterapia non abilita ad alcuna attività di diagnosi consentendo al fisioterapista il solo svolgimento, anche in autonomia, di attività esecutiva della prescrizione medica (Cass. Pen., Sez. VI, 08/03/2018, n. 29667);
  • medico chirurgo che eserciti la professione di odontoiatra (Cass. Pen., Sez. VI, 22/01/2018, n. 2691);
  • chi svolga attività chiropratica che implichi il compimento di operazioni riservate alla professione medica, quali l’individuazione e diagnosi delle malattie, la prescrizione delle cure e la somministrazione dei rimedi, anche se diversi da quelli ordinariamente praticati (Cass. Pen., Sez. VI, 01/04/2016, n. 13213);
  • il naturopata che svolga gli atti tipici riservati alla professione medica, quali la diagnosi, la profilassi e la cura di malattie: sono irrilevanti sia la circostanza che il soggetto agente non si presenti come medico, ma come esercente un’attività alternativa a quella della medicina tradizionale, sia lo svolgimento di tali attività con tecniche o metodi non tradizionali, come quelli omeopatici o naturopati (Cass. Pen., Sez. VI, 26/01/2016, n. 8885);
  • chi effettua massaggi con finalità terapeutica in relazione a specifiche patologie di un paziente: si tratta di massaggi richiedenti adeguate conoscenze tecniche e la cui effettuazione è riservata ai titolari di specifica abilitazione, per la delicatezza della funzione e l’idoneità ad incidere sulla salute delle persone (Cass. Pen., Sez. VI, 21/12/2015, n. 50063); 7
  • il farmacista che materialmente provvede al riempimento, indicando lui stesso una terapia farmacologica, di una ricetta sottoscritta e lasciata in bianco dal medico convenzionato (Cass. Pen., Sez. VI, 08/02/2011, n. 13315).

 

L’abusivismo nel Codice deontologico del medico

La fattispecie è prevista dall’art. 67 CDM-2018:

ART. 67 – PRESTANOMISMO E FAVOREGGIAMENTO ALL’ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE. Al medico è vietato collaborare a qualsiasi titolo o di favorire, fungendo da prestanome o omettendo la dovuta vigilanza, chi eserciti abusivamente la professione. Il medico che venga a conoscenza di prestazioni effettuate da non abilitati alla professione di medico, o di casi di favoreggiamento dell’abusivismo, è obbligato a farne denuncia all’Ordine territorialmente competente.

Naturalmente il canone deontologico non può che riguardare il medico abilitato e regolarmente iscritto all’Albo; la persona che fosse condannata per esercizio abusivo della professione medica non sarebbe pertanto passibile (anche) di sanzione disciplinare da parte dell’ordine professionale.

Per quanto riguarda l’obbligo deontologico del medico in materia di abusivismo, la norma riportata prevede diverse possibili condotte vietate, che possono anche concorrere tra loro:

  • la collaborazione a qualsiasi titolo con chi eserciti abusivamente la professione;
  • il favoreggiamento, che a sua volta può esprimersi nel c.d. prestanomismo ovvero nella mancata vigilanza su personale soggetto al controllo del medico.

Non di poco significato, infine, è la seconda parte dell’art 67, che impone in via generale al medico l’obbligo di denunciare (all’Ordine, non all’Autorità giudiziaria) i casi di esercizio abusivo della professione di cui venga a conoscenza.

Da ultimo, giova richiamare anche l’ultimo capoverso dell’art. 15 del Codice deontologico (Sistemi e metodi di prevenzione, diagnosi e cura non convenzionali), a norma del quale

[Omissis] Il medico non deve collaborare né favorire l’esercizio di terzi non medici nelle discipline non convenzionali riconosciute quali attività esclusive e riservate alla professione medica.

La connessione con il reato di esercizio abusivo della professione appare chiara dal riferimento alle “attività esclusive e riservate alla professione medica”.

Caveat: il testo che precede non può essere inteso quale consulenza legale professionale, essendo una semplice sintesi, non esaustiva, di concetti generali inerenti al tema.

L’autore

Avv. Marzio Vaglio

Avvocato del Foro di Padova e Titolare di Studio Legale. Tra i settori di formazione, mercato farmaceutico e responsabilità nelle professioni sanitarie

Bibliografia

Bibliografia

  1. Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 18 luglio 2018, n. 33464 (Fattispecie relativa all’abusivo esercizio della professione di commercialista, consistito nella tenuta della contabilità aziendale e nella prestazione di consulenza del lavoro).
  2. Art. 32, Cost.: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
  3. BILANCETTI, F. – BILANCETTI, M., La responsabilità penale e civile del medico, Cedam, 2013, pag. 318.
  4. Si ricordi però, a tal proposito, che il reato è punito esclusivamente a titolo di dolo, quando cioè vi è coscienza e volontà dell’abuso perpetrato nell’esercizio professionale.
  5. Già con il D.M. 14 settembre 1994, n. 739, l’infermiere, superata una tradizionale posizione ancillare rispetto al medico, è qualificato dall’ordinamento quale operatore sanitario in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, che è responsabile dell’assistenza generale infermieristica; in tale veste professionale l’infermiere assume la funzione di “garantire la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche” (art. 1, comma 3, lett. d).
  6. D.M. 14 settembre 1994, n. 740: l’ostetrica/o è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza, durante il parto e nel puerperio, conduce e porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza al neonato, svolgendo “con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché degli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza”.
  7. Per contro, nella stessa sentenza, viene esplicitamente chiarito che la “finalità terapeutica distingue questo tipo di funzioni dall’attività liberamente esercitabile da chiunque, a scopo meramente distensivo” (c.d. massaggio di benessere).

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