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Il fenomeno dell’inerzia terapeutica

Il fenomeno dell’inerzia terapeutica

Cosa fare quando il paziente non raggiunge gli obiettivi terapeutici? Quando la responsabilità è del paziente e quando il medico può intervenire più attivamente?

L’inerzia terapeutica può essere il problema da risolvere. Scopri di cosa si tratta e le soluzioni a disposizione del medico.

Data di pubblicazione: 08 novembre 2018

Uno dei maggiori problemi riguardanti la gestione dei pazienti cronici con diabete, ipertensione, dislipidemia, malattie neurodegenerative come la sclerosi multipla (SM), è la cosiddetta “inerzia terapeutica”, termine con il quale si definisce l’incapacità di modificare o potenziare la strategia di trattamento quando una patologia è fuori controllo.

Un fenomeno difficile da spiegare in termini semplici, poiché le cause possono essere molteplici, tuttavia è più frequente di quanto si possa immaginare ed è in grado di coinvolgere tutti i livelli di cura.

Inerzia terapeutica di 1° tipo

Si parla di inerzia di tipo 1 quando l’atteggiamento del medico, pur consapevole che il paziente non riesce a raggiungere gli obiettivi del trattamento, non attua i necessari interventi per superare il problema.

 

Diversi sono i fattori che entrano in gioco.

1. Capacità di prendere decisioni

Una delle cause più frequenti di inerzia è la mancanza di propensione a prendere decisioni, che può dipendere dal riconoscimento effettivo delle competenze proprie della professione medica, dal contesto sociale, dalle norme e dalla disponibilità di tempo.

Anche la formazione ha un ruolo fondamentale, in quanto le università sono in grado di fornire un’enorme quantità di nozioni teoriche, senza tuttavia dedicare spazio all’insegnamento delle cosiddette competenze extra cliniche come il saper prendere decisioni.

Il timore di critiche, l’atteggiamento difensivo (che apre inevitabilmente le porte alla “medicina difensiva”) e ambiti d’azione delle discipline non ben definiti sono anch’essi responsabili di inerzia terapeutica.

2. Mancanza di strumenti informatici

La continua produzione e diffusione di conoscenze e la costante mutevolezza delle norme prescrittive rendono ormai indispensabile un supporto informatico aggiornato. Supporto ancor più necessario in caso di comorbilità e assunzione di un numero elevato di farmaci, oltre ad interazioni e nuove formulazioni farmacologiche che richiedono un costante aggiornamento.

3. Dimenticanza

È un fattore da prendere in considerazione quando si tratta di discipline mediche che riguardano un ampio campo di patologie come la medicina interna e la medicina generale. Dedicare il giusto tempo ad ogni singolo paziente, ricordarsi la specifica storia clinica e personale, inquadrare velocemente il percorso di cura passato e attuale, è molto difficile quando si visitano quotidianamente molti pazienti con patologie ed esigenze differenti.

4. Burn out

È un processo stressogeno che interessa, in varia misura, gli operatori sanitari che sono impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano le relazioni interpersonali. Un disagio psicofisico che può essere responsabile della delega delle proprie attività, innescando una spirale di consulenze a discapito della gestione ottimale dei pazienti.

5. Rapporto medico-paziente

Il profilo del paziente e la qualità del rapporto che ha con il suo medico possono essere causa di inerzia. La decisione di non prescrivere nuove terapie potrebbe essere dovuta alla percezione (talvolta erronea) di una dubbia accettazione, se non addirittura di un rifiuto da parte del paziente. Spesso i pazienti manifestano la volontà di accettare nuove terapie solo dopo aver sentito un secondo parere (second opinion).

6. Impossibilità di prescrivere ulteriori farmaci

Il numero di farmaci assunti dal paziente, specie se anziano o con deficit cognitivi, è un fattore che incide sul processo decisionale e può spingere il medico a rinunciare all’introduzione di nuove terapie.

7. Vantaggi considerati poco rilevanti

Età, patologia, condizioni familiari e profilo cognitivo del paziente possono spingere il medico a considerare poco rilevante l’introduzione di nuovi farmaci. Se talvolta la decisione può rivelarsi corretta, in altri casi può risultare errata e condizionare in maniera negativa la qualità di vita del paziente e il conseguente raggiungimento degli obiettivi terapeutici.

Inerzia terapeutica di 2° tipo

Questa tipologia è correlata con una scarsa conoscenza delle novità (siano esse terapeutiche o diagnostiche) che spesso è riconducibile alla velocità con la quale vengono introdotte nuove molecole e tecniche di cura innovative. Grazie alla ricerca sempre più diffusa ed evoluta le conoscenze mediche oggi mutano in tempi ristrettissimi, tanto da essere difficilmente sostenibili da qualsiasi professionista e sicuramente insostenibili da chi, come il medico di medicina generale (MMG), debba dedicare gran parte delle risorse intellettuali all’espletamento di attività burocratico-amministrative.

Inerzia terapeutica di 3° tipo

Le nuove terapie, le indagini diagnostiche sempre più sofisticate e le tecnologie innovative e hi-tech sono frutto di ricerca di base, trial clinici, evidenze (Evidence Based Medicine o EBM) e consensus. Solo così le nuove conoscenze possono essere trasformate in linee guida ed essere applicate sul campo. Ma la diffusione dell’informazione e la sua ricezione possono essere soggette a notevoli ritardi o ad errori. L’errore nel normale processo informativo e l’errore nella percezione delle informazioni sono la causa del tipo 3 di inerzia terapeutica, forse anche la più frequente.

Diversi sono i fattori ritardanti che possono frapporsi tra i risultati di una ricerca e la loro applicazione nella pratica quotidiana. Eccone alcuni:

  • organizzazione del sistema di erogazione delle cure (modalità di accesso ai vari livelli di cura, suddivisione dei compiti fra professionisti, discipline e specialità in base alla presenza o meno di una medicina generale gate keeper);
  • congressi medici riservati solo a specialisti anche quando le patologie prese in considerazione sono ad altissima prevalenza e incidenza, con inevitabile ritardo nell’acquisizione delle novità da parte di medici (MMG) che con tali patologie (per esempio ipertensione arteriosa, diabete, scompenso cardiaco, ecc.) hanno a che fare quotidianamente;
  • mancata divulgazione di linee guida per la gestione delle malattie più frequenti prodotte dalle società scientifiche internazionali e nazionali;
  • informazione farmaceutica riservata quasi esclusivamente agli specialisti;
  • scarsa interdisciplinarietà tra società scientifiche specialistiche, tanto da creare il paradosso definito di inversione dell’informazione: la quantità di informazioni per i livelli di cura è inversamente proporzionale alla quantità di pazienti trattati;
  • ridondanza di informazioni (in un campo, per una particolare tipologia di farmaci, su procedure burocratiche, economiche, gestionali e organizzative, ecc.), che impedisce di fatto l’acquisizione di informazioni di tipo terapeutico e metodologico (come avviene per esempio per il MMG).

Riassumendo

TIPOLOGIE di INERZIA TERAPEUTICA
Tipo 1 Medico consapevole del problema e della terapia ma che non attua interventi necessari
Tipo 2 Medico inconsapevole del problema e delle novità terapeutiche
Tipo 3 Medico consapevole del problema ma inconsapevole delle novità terapeutiche

Le strategie per contrastare l’inerzia

Si tratta di un fenomeno che si teme possa diffondersi sempre più e pertanto deve essere contenuto. È infatti necessario evitare che la cosiddetta clinical inertia si trasformi in clinical safeguard, ovvero in un atteggiamento di salvaguardia individuale per rispondere all’incertezza della medicina su precisi obiettivi di trattamento o in contrasto con le linee guida. Ma come è possibile agire concretamente?

Vediamo per punti alcuni suggerimenti di valore generale, che derivano dalla breve analisi appena fatta.

  1. Liberare i medici da incombenze che non siano cliniche, così da potersi dedicare all’acquisizione di nuove conoscenze.
  2. Ampliare il campo d’azione delle discipline mediche, evitando l’inopportuna suddivisione in sub-specialità con il rischio di creare serbatoi di professionisti con conoscenze limitate.
  3. Ampliare l’interdisciplinarietà delle diverse branche mediche, così che possano aprirsi alle conoscenze di altri settori della medicina e non solo.
  4. Coinvolgere Società scientifiche, organizzazioni sanitarie e ordini professionali che hanno il compito (invero non sempre assolto appieno) di divulgare a tutti i settori della medicina le linee guida per gestire e trattare le patologie a più ampia prevalenza e incidenza nella popolazione.
  5. Migliorare l’informazione farmaceutica affinché si rivolga a tutti i settori della medicina che trattano le patologie cui i prodotti sono indicati, senza distinzioni fra livelli di cura.
  6. Coinvolgere tutti i settori del mondo health nel processo di creazione di nuove linee guida.
  7. Applicare i criteri della Evidence Based Medicine ai vari livelli di cura per decidere le competenze e attuare i principi di efficacia, costo-benefico, sostenibilità e sussidiarietà.
  8. Rendere possibile l’accesso ad un sistema informatico libero, indipendente e aggiornato con linee guida nazionali e internazionali come strumento di aiuto terapeutico.
  9. Lavorare sulle clinical skills con attività formative per favorire il processo decisionale in autonomia.
  10. Dare priorità all’interesse del paziente che deve venire sempre prima di quello dei sistemi sanitari e dei professionisti.

APPROFONDIMENTO – INERZIA TERAPEUTICA NEL DIABETE

Tra inerzia terapeutica e appropriatezza prescrittiva

Analizzando i numeri a disposizione, ci rendiamo subito conto che l’inerzia terapeutica rappresenta un punto cruciale nella gestione del paziente con diabete. Secondo i più recenti dati internazionali, confermati anche dall’esperienza italiana, il fenomeno (ovvero la mancata intensificazione di una terapia nonostante una risposta non adeguata, cioè il mancato raggiungimento del target terapeutico) riguarda quasi il 50% dei pazienti. Tra l’altro, secondo i dati dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) soltanto il 50% dei pazienti raggiunge il target sia nei 2 anni precedenti sia nei 2 anni successivi alla modifica della terapia.

Una realtà ben fotografata dallo studio PANORAMA, condotto su 5817 pazienti con diabete di tipo 2 in nove paesi europei, che ha messo a confronto i valori target di emoglobina glicata (HbA1c) dei singoli individui e quelli effettivamente rilevati dai medici, indagando le ragioni per cui le scelte dei curanti spesso si distanzino dalle linee guida. In base ai dati emersi relativi alla coorte francese (n=759), in due terzi dei casi, il controllo glicemico non è risultato ottimale (il 66,0% non ha raggiunto il target di HbA1c ≤6.5%; il 42,3% non ha raggiunto il target di HbA1c ≥7.0%).

Più recenti sono i risultati relativi alla coorte greca (n=375), che nel 32,9% dei casi non ha raggiunto il target di HbA1c ≤7.0%; alla coorte spagnola (n=751), che nel 39,7% dei casi non ha raggiunto il target di HbA1c ≤7.0%; mentre i dati complessivi europei indicano che il 37,4% dei pazienti arruolati non raggiunge il target glicemico.

Grazie a questi studi, peraltro, le cause di inerzia terapeutica appaiono decisamente più complesse del previsto: le più frequenti sono:

  • la scarsa adesione del paziente agli stili di vita raccomandati;
  • l’inefficacia del trattamento in corso;
  • un automonitoraggio carente da parte del paziente;
  • una scarsa propensione dei medici ad intensificare il trattamento.

Lo studio PANORAMA apre inoltre un’importante strada di riflessione sulla gestione del diabete di tipo 2 e permette di identificare 2 problemi principali.

  1. Il primo problema è che, per ottenere l’efficacia clinica, non sono sufficienti corrette diagnosi e terapia, ma bisogna accompagnare il paziente verso le necessarie modificazioni dello stile di vita. Questo è un passaggio molto sfidante per il medico.
  2. Il secondo problema è che, a fronte di armi farmacologiche e tecnologie sempre più sviluppate, ci si scontra con la scarsa adesione alla terapia sul lungo periodo.

Da sottolineare che per aumentare l’efficacia terapeutica, più che incrementare i dosaggi dei farmaci, bisognerebbe ricorrere a percorsi di pedagogia dell’adulto, che informino correttamente sugli strumenti per la gestione consapevole della malattia.

Una app per rintracciare chi non raggiunge i target di cura

Per contrastare il fenomeno dell’inerzia terapeutica, i soci dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) hanno ora a disposizione una specifica APP che, dopo aver analizzato le cartelle cliniche informatizzate del diabetologo, va alla ricerca dei pazienti non “in regola” su alcuni specifici parametri: emoglobina glicata (HbA1c) ≥7.0%, indice di massa corporea (BMI) oltre 27 kg/m2 (che esprime una condizione di sovrappeso od obesità) e pressione arteriosa sistolica di 140 mmHg. L’obiettivo è far sì che gli specialisti utilizzino l’applicazione per individuare e valutare i soggetti che hanno bisogno di un’intensificazione o di un miglioramento della cura.

Secondo il Dr Domenico Mannino, presidente AMD, una fascia consistente di pazienti con diabete (oltre il 50%) non raggiunge un buon compenso glicemico. Dati simili, se non peggiori, riguardano il peso corporeo e il controllo della pressione arteriosa, altri due rilevanti fattori indipendenti di rischio cardiovascolare. C’è anche un notevole ritardo nell’intensificazione terapeutica in presenza di valori elevati di emoglobina glicata: al momento dell’aggiunta di un nuovo farmaco, i pazienti presentano valori di HbA1c largamente al di sopra dell’8.0%, e molti di essi mostrano tali valori già da 2 anni o più. Continuano, inoltre, ad essere utilizzati soprattutto farmaci ipoglicemizzanti tradizionali, i cui possibili effetti collaterali rendono la compliance del paziente più difficile. Proprio per porre rimedio a questa situazione AMD ha quindi sviluppato e messo a disposizione dei clinici l’applicazione che, applicata alla cartella clinica informatizzata, attiva un sistema di ricerca automatica in grado di identificare i pazienti con insoddisfacente controllo metabolico, al fine di ridurre l’inerzia terapeutica e migliorare l’appropriatezza prescrittiva.

L’autore

Giorgio Cavazzini

Giornalista Professionista

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