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Relazione con gli assistiti come adeguarsi alle diverse tipologie di persone

Relazione con gli assistiti come adeguarsi alle diverse tipologie di persone

Il rapporto tra medico e assistito è molto delicato, e richiede una piena e reciproca fiducia per poter funzionare adeguatamente. In questo articolo vogliamo stigmatizzare alcune caratteristiche tipologie di atteggiamenti (sia dei medici, sia dei pazienti), che possono condizionare l’efficacia della relazione.

Data di pubblicazione: 22 gennaio 2020

L’asimmetria della relazione medico-paziente

La relazione tra medico e paziente è di tipo “asimmetrico”, ovvero “sbilanciato” dalla parte del medico, per l’autorevolezza insita nel suo ruolo. Questa “asimmetria” assumere diverse connotazioni.

Il medico paternalista

Come accadeva soprattutto in passato, la relazione medico-paziente può essere di tipo “paternalistico”. In questo caso, il medico – in ragione della superiorità delle sue conoscenze – è portato a prendere decisioni senza consultare l’assistito, pretendendo di saper stabilire quali informazioni è opportuno dargli e quali no.

  • Questa figura deriva dal fatto che anticamente il medico rispondeva solo al principio di “beneficienza” (agire per il bene del paziente) e, nel contempo, di non “maleficienza (non causare danni al paziente). In questo modello – chiaramente superato – il medico aveva inoltre un ruolo di giudizio non indifferente, valutando egli stesso come distribuire le risorse limitate in modo equo e giusto ai pazienti. Nel contempo, il paziente veniva sostanzialmente considerato incapace di decidere, a causa della sua ridotta conoscenza degli aspetti sanitari, e pertanto doveva affidarsi incondizionatamente al proprio curante.
  • Il modello del “medico paternalista” è ormai chiaramente superato, ma non si può negare che una modalità di questo tipo – con maggiore o minore evidenza, a seconda della personalità del medico – è sempre latente nella relazione con l’assistito. Ma solo in pochi casi, come vedremo più avanti, tali atteggiamenti possono essere opportuni.

La simmetria della relazione medico-paziente

I progressi scientifici, i profondi mutamenti sociali del Novecento e l’acquisizione di una maggiore consapevolezza da parte dei pazienti, hanno portato all’approvazione della “Carta dei diritti del paziente” (American Hospital Association, 1973). In questo documento viene reclamato il diritto del paziente di essere adeguatamente informato delle proprie condizioni cliniche e di essere reso partecipe delle decisioni terapeutiche.

 

Il medico etico-contrattuale

La crescente attenzione al diritto di autodeterminazione di ogni individuo ha progressivamente permesso il passaggio da un rapporto medico-paziente “paternalistico” ad uno “etico-contrattuale”.

  • In quest’ottica, il paziente viene considerato adeguatamente capace di comprendere e di decidere; tale da poter partecipare alle decisioni del medico.
  • Con tale visione, ogni scelta terapeutica è idealmente una sorta di “contratto” sottoscritto liberamente dal medico e dal paziente, che sono posti sullo stesso piano. Il rapporto è quindi di tipo simmetrico, dove nessuno dei due soggetti prevarica l’altro.
  • L’introduzione dell’obbligo del consenso informato (Legge 219/2017) è una chiara espressione della valorizzazione del diritto all’auto determinazione del paziente.
  • Il medico è quindi tenuto a informare adeguatamente, nei limiti del possibile, il paziente sulla sua condizione clinica, condividendo con lui le opzioni terapeutiche, in base ai relativi rischi e benefici.
  • Talvolta questo modello può risultare frustrante per il medico che, pur consapevole delle sue competenze ed esperienza, deve adeguarsi alla volontà del proprio assistito. Ciò può voler dire non poter usare pienamente mezzi e strategie che apporterebbero benefici al paziente, a causa della sua autonoma opposizione.

Il medico empatico

Al di là di leggi, regolamenti e sentenze giuridiche, la relazione tra medico e paziente deve essere fondata principalmente sul rapporto umano, sull’empatia, sulla fiducia e sulla stima reciproca.

  • Nel caso dell’empatia, il medico ha la disposizione a “mettersi nei panni” del paziente (etimologicamente “empatia” vuol dire “sentire dentro”), partecipando così ai suoi sentimenti di soddisfazione o sofferenza.
  • L’empatia è tipica (essendo quasi inevitabile) per il medico di medicina generale, che viene maggiormente coinvolto in tutta la storia del paziente, incluse vicende passate, situazioni familiari, relazioni sociali… Meno frequente (e meno auspicabile) per i medici ospedalieri, che hanno tante micro-storie da seguire, per le quali è richiesta una certa “freddezza” di valutazione e decisione.
  • L’empatia si traduce infatti in un carico emotivo non indifferente, per il medico con risvolti positivi e negativi. Positivo può essere, per esempio, l’affetto che si istaura tra medico e paziente, con conseguenti sentimenti di riconoscenza, comprensione e persino “perdono” per eventuali errori (reali o presunti). Negativo può essere invece il senso di stanchezza e frustrazione che può intaccare lo stato d’animo e la capacità operativa del medico, in presenza di vicende particolarmente dolorose.

La crisi della relazione medico-paziente

Il medico apatico

All’opposto, il medico può sviluppare una sorta di “corazza” di auto-difesa, nei confronti degli assistiti, tendendo quasi a un’asimmetria opposta. In questo caso, la posizione del paziente è apparentemente dominante. Il paziente chiede, il medico esegue o demanda.

  • L’apatia comprende lo sviluppo di una ridotta sensibilità e capacità d’ascolto.
  • Questa “crisi” della relazione medico-paziente è particolarmente attuale, secondo un’indagine di Cittadinanzattiva, che rileva come 8 pazienti su 10 segnalino una scarsa empatia da parte del medico, il quale, a sua volta, in 1 caso su 3 ritiene insufficiente o inadeguato il tempo a disposizione per la visita.
  • Al tempo stesso, il medico diviene scostante nell’orientare il paziente, tende a utilizzare un linguaggio troppo tecnico e poco comprensibile e – aspetto grave – può giungere a maturare una scarsa attenzione alla sofferenza della persona.
  • Le cause di questo atteggiamento sono spesso esterne alla reale disposizione del medico, indotte da difficoltà esterne (carico di lavoro eccessivo, mancanza di supporti, scarsa organizzazione dei servizi).

Le tipologie di pazienti

I modelli di medici sopradescritti sono ovviamente teorici e non assoluti. Nella realtà dei fatti, ogni medico si può trovare ad assumere, di volta in volta, atteggiamenti paternalistici, etico-professionali, empatici o persino apatici. Una certa variabilità è persino opportuna e strategica, a seconda della tipologia di paziente che ci si può trovare di fronte.

Per semplificare, in base alla propria esperienza professionale, è possibile immaginare che le persone che si rivolgono a un medico possano essere inquadrate in un diagramma, costruito dagli assi della cognizione area salute (che comprende consapevolezza, cultura, buon senso) e della fiducia (che comprende empatia, stima, disponibilità). Dividendo in quadranti il diagramma avremo 4 tipologie di pazienti:

  • Paziente A: minima cognizione e minima fiducia.
    Può rispondere a una tipologia del genere, per esempio, la persona con informazioni sulla salute molto sommarie, ma che considera comunque con sospetto e sufficienza le indicazioni del medico e delle autorità sanitarie. Il paziente A ha quindi una propensione a “curarsi da sé” (o a non curarsi), dando credito, di volta in volta, ai consigli di un amico o alle “incredibili notizie” lette su internet.
  • Paziente B: massima cognizione e minima fiducia.
    Il paziente B è una persona con un’alta considerazione di sé e delle proprie conoscenze, ma che nel contempo non riconosce una particolare autorevolezza al suo medico. Un esempio è il paziente che parla da “pari” col suo medico, utilizzando termini tecnici sanitari e suggerendo egli stesso gli esami e le visite più adeguate alla propria condizione.
  • Paziente C: massima cognizione e massima fiducia.
    È la tipologia “ideale”. Una persona che comprende bene l’importanza dei consigli che riceve, che accoglie sempre con fiducia e responsabilità. Con il paziente C (che non è necessariamente una persona colta, ma è comunque dotata di grande buon senso e ben educata), è facile che si instauri un rapporto di piena empatia e persino di simpatia.
  • Paziente D: minima cognizione e massima fiducia.
    Questa persona si fida totalmente del suo medico. Non si tratta necessariamente di una persona con poca cultura o bassa scolarità. Piuttosto è una persona che considera il suo interlocutore estremamente autorevole, tale da potersi sottomettere pienamente alle sue valutazioni. In questa area vi sono anche le persone un po’ “pigre”, che prendono difficilmente decisioni, se non vengono dirette “dall’alto”.

Conclusioni

Il costante sforzo, da parte sia dei medici sia dei pazienti, di venirsi incontro, comprendendo con empatia le rispettive problematiche e rispettando la dignità che spetta a entrambi i ruoli, sono senz’altro un passo importante verso l’obiettivo comune di ottenere i migliori risultati possibili per la salute e la qualità di vita.

Il rapporto medico-paziente non può quindi prescindere dalla fiducia reciproca: il paziente deve avere consapevolezza della professionalità e dell’esperienza del proprio medico, il quale deve coinvolgere il suo paziente nelle decisioni che lo riguardano.

Inoltre, il medico deve saper personalizzare il proprio dialogo, con alcune attenzioni e strategie, volte a migliorare sempre più l’efficacia della relazione.

Solo così si potrà costituire una vera e proficua “alleanza terapeutica”, ovvero un rapporto collaborativo tra due soggetti (medico e paziente), entrambi attivi, ciascuno nel proprio ruolo.

L’autore

Dr. Pierluigi Diano

Pneumologo e Medico di Medicina Generale

Bibliografia

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