Il robot arriva in corsia
Una nuova generazione di robot sta per fare il suo ingresso nelle corsie degli ospedali. L’obiettivo è assistere il personale sanitario e liberarlo dalle funzioni più pesanti e ripetitive.
Data di pubblicazione: 16 febbraio 2018
La robotica ha fatto da tempo il suo ingresso in sala operatoria, grazie agli indubbi vantaggi che consente (dalla maggiore precisione nelle operazioni, alla possibilità di eseguire interventi da remoto), e anche nelle più avanzate facoltà di medicina andando a sostituire i manichini usati per l’esercitazione degli studenti.
Ma adesso c’è una nuova frontiera che si apre per i robot a uso medicale: la corsia dell’ospedale.
L’assistenza al paziente è infatti da sempre un punto critico per le strutture sanitarie, che da una parte hanno problemi a reperire personale specializzato per coprire gli organici in modo adeguato, e dall’altra devono poi adibire questo stesso personale a mansioni pesanti e ripetitive. Il tutto sotto la spada di Damocle del budget da rispettare.
L’innovazione tecnologica, in particolare con l’introduzione della robotica, promette di essere una soluzione win-win: se si utilizzassero i robot ad esempio per svolgere attività semplici/ripetitive senza coinvolgere quindi personale altamente specializzato, si otterrebbe un risparmio che può essere reinvestito nel migliorare il servizio reso ai pazienti, ad esempio attraverso personale sanitario altamente qualificato ed attrezzature sempre più avanzate.
Soluzione o sperimentazione?
Fino a che punto la robotica può essere considerata già una soluzione pratica e quanto invece solo un settore puramente sperimentale?
Cominciamo col dire che solo negli ultimi 10 anni l’industria della robotica e tutto il mondo della ricerca universitaria hanno cominciato ad esplorare con maggiore convinzione il segmento che va sotto il nome di “robotica collaborativa”, ossia quello delle macchine in grado di interagire e collaborare con gli esseri umani. I primi robot concretamente utilizzati furono quelli industriali: macchine dalle dimensioni importanti con un peso di tonnellate, controllate da operatori specializzati, ma autonome nella produzione.
Passi avanti significativi verso l’interazione si sono avuti con l’arrivo di robot di piccole dimensioni, nati per esempio per eseguire piccoli montaggi nell’industria manifatturiera. L’aggiunta a questa tipologia di robot di sensori atti a rilevare il contatto con l’operatore umano, o il suo avvicinamento alla macchina, e lo sviluppo di appropriati algoritmi di reazione hanno portato l’elemento mancante, cioè hanno dato al robot la capacità di adeguare il proprio operato alle condizioni esterne dettate dalla presenza umana.
Infine, con il miglioramento delle tecnologie e con la riduzione dei costi e delle dimensioni dei sistemi di controllo è diventato possibile svincolare il robot da una posizione di lavoro fissa, realizzando automi mobili sufficientemente avanzati per l’utilizzo commerciale.
A che punto siamo in campo medico?
Se l’idea di robot in corsia è quella di avere a disposizione una macchina dalle sembianze antropomorfe, in grado di sostituire un medico, interagire con i pazienti confortandoli, fare diagnosi e somministrare terapie, allora sarà necessario aspettare ancora parecchio.
Numerose sono tuttavia le ricerche che vanno in quella direzione, sebbene i risultati pratici siano al momento limitati.
Fra i più riusciti troviamo robot come il giapponese Robear, presentato nel 2015. Un apparecchio semi-antropomorfo (ma con la testa da orsacchiotto) il cui compito primario è il sollevamento dei pazienti, per esempio per spostarli dal letto o dalla sedia a rotelle alla vasca da bagno.
L’aiuto ai pazienti, come alle persone anziane a casa o nelle case di riposo, è in effetti l’obiettivo primario di questo “comparto” di studio della robotica, visto che nei prossimi anni gli anziani aumenteranno e, semplicemente, in molte nazioni industrializzate (Giappone in primis) non ci saranno persone a sufficienza per un’assistenza adeguata a costi accettabili. Il paradosso è che, anche in paesi amanti della tecnologia come il Giappone, l’uso dei robot per l’assistenza non sembra essere molto gradito proprio alle persone assistite. Apparentemente, pazienti e anziani vogliono che ci siano esseri umani ad occuparsi di loro e non freddi robot. Superare questa diffidenza richiederà probabilmente anni e anche un cambio di paradigma dell’industria della robotica.
Come ebbe a dichiarare qualche anno fa Geoff Pegman (della R.U. Robotics): “L’uso dei robot nell’assistenza di malati e anziani deve essere mirato al miglioramento della qualità di vita e non solo a ridurre i costi dello Stato per l’assistenza”.
Considerando funzionalità più sofisticate, come la capacità, se non di fare una vera e propria diagnosi, almeno di capire lo stato del paziente e di reagire di conseguenza, siamo davvero in alto mare: per realizzare questo tipo di funzioni bisogna coniugare la ricerca sull’intelligenza artificiale e quella sui big data, quella sui sistemi sensoriali e di rilevamento, e quella sulla robotica vera e propria. Tuttavia, la ricerca procede ad un ritmo elevato ed è ipotizzabile di poter disporre, nel giro di pochi anni, di apparecchi di dimensioni compatibili con l’uso in corsia, dotati di sensori per rilevare le condizioni del paziente (temperatura, pressione, ritmo cardiaco, analisi varie) e capaci di inviare i dati raccolti a un sistema di intelligenza artificiale centralizzato, per poter aiutare i medici di reparto nella diagnostica e nella scelta terapeutica.
Il carrello intellligente
Al momento è disponibile Pepper, un robottino semi-antropomorfo alto 140 cm, con testa, braccia, uno schermo sul petto e montato su ruote, usato come “receptionist” in alcuni ospedali del Belgio. Riconosce la voce umana, conosce 20 lingue, può fornire indicazioni ai visitatori e anche accompagnarli personalmente dove vogliono andare.
Oppure ci sono Paro e i “Joy For All Companion Pet”, robot che riproducono rispettivamente un cucciolo di foca e un gatto. Sono utilizzati per la pet therapy, soprattutto in pazienti anziani e con demenza senile. Paro sembra essere accolto più favorevolmente dai pazienti perché quasi nessuno ha mai interagito con una foca, mentre chi ha avuto un gatto ha aspettative che un Joy For All non è ancora in grado di soddisfare. Peccato che Paro costi sui 6.000 dollari, contro i circa 100 dei Joy For All che sono prodotti da Hasbro.
Ma l’applicazione più comune della robotica in corsia sembra essere quella dei carrelli automatizzati per il trasporto di medicinali, cartelle cliniche, persino organi. Macchine come Noah, già operativo in otto esemplari nel Guangzhou Women and Children Medical Center, nel sud della Cina, possono portare fino a 330 kg di carico, e sono usati al momento soprattutto lungo il tragitto dalla farmacia alle varie postazioni infermieristiche. L’ospedale ha calcolato che grazie ai Noah gli infermieri risparmiano quasi 2.000 chilometri l’anno di cammino. Altri benefici sono la maggiore igiene e la riduzione del rischio di errore umano.
Un altro dispositivo simile è il Tug, sviluppato dalla statunitense Aethon, che è già in uso in vari ospedali e che, grazie alla sua versatilità, sta cominciando ad apparire anche negli hotel. Il suo punto di forza è la dotazione di sensori che gli permettono di muoversi autonomamente riconoscendo ed evitando gli ostacoli e gli umani che si dovessero trovare sulla sua traiettoria.
E se il Tug, nato per l’ambiente medicale, sta iniziando a diffondersi in altre applicazioni, nel prossimo futuro è più probabile che si assista al percorso inverso: robot nati per l’ambito domestico o commerciale potrebbero sbarcare nel giro di pochi anni nelle corsie dei nostri ospedali, portando un robusto abbassamento dei costi dell’hardware.
A parte il caso di Pepper sopracitato, che era stato progettato per fare da commesso e promoter nei centri commerciali, ci sono vari produttori che hanno presentato all’ultimo CES di Las Vegas (evento sulla Consumer Technology) robot domestici che, dotati di software adeguato, potrebbero svolgere compiti utili in ospedale. Dalla vigilanza sui pazienti al loro intrattenimento, dal trasporto di generi di conforto alla comunicazione via Internet o telefono, questi apparecchi potrebbero sostituire il personale non specializzato in molte operazioni che riguardano l’interazione con i pazienti. Non ci vorrebbe molto per adattare a compiti di assistenza ospedaliera i robot della serie CLOi di LG, nati per fare da cameriere, facchino e carrello della spesa.
Apparecchi come il simpatico Buddy della francese Blue Frog, alto poco più di mezzo metro e basato su piattaforma open source Arduino, si prestano ottimamente a fare da assistenti personali.
Resta comunque da considerare il fatto che il paziente preferisce sempre il contatto umano all’assistenza di un robot, per quanto simpatico.
L’autore
Redazione
Team composto da professionisti in diversi settori, tra cui medico, scientifico, health affairs, digital technology, giornalistico.
L’obiettivo primario della redazione è quello di generare contenuti d’interesse, attuali e che possano favorire un aggiornamento su tematiche che spaziano in ambiti differenti.
Bibliografia
Data ultimo accesso 26.01.2018
- https://www.ces.tech/
- http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-3641468/Pepper-robot-finds-job-healthcare-friendly-droid-trialled-two-hospitals-Belgium.html
- https://www.theguardian.com/society/2014/jul/08/paro-robot-seal-dementia-patients-nhs-japan
- https://www.wired.com/2015/02/incredible-hospital-robot-saving-lives-also-hate/