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Robotica assistenziale

Robotica assistenziale

La popolazione invecchia e in futuro scarseggeranno le persone da impiegare nell’assistenza agli anziani. Una possibile soluzione sarà di utilizzare robot specializzati.

Data di pubblicazione: 19 maggio 2020

Nei Paesi occidentali è in atto da decenni un fenomeno di invecchiamento della popolazione, causato da due diverse concause: da una parte, l’allungamento della vita media, dovuto soprattutto alle migliori cure mediche e alla maggiore attenzione all’alimentazione; dall’altra, la riduzione delle nascite, dovuta a molteplici fattori che vanno dall’incertezza economica alla difficoltà per le donne di conciliare lavoro e figli. Tutto questo sta facendo sì che in Europa, così come negli USA e in Giappone, ci siano in proporzione sempre più anziani e sempre meno giovani.

Si calcola che nel 2050 in Europa per ogni persona over 65 ci saranno due persone al di sotto di questo limite – quando fino a qualche decennio fa se ne contavano quattro. Secondo le stesse stime, la popolazione anziana è passata da 101 milioni nel 2018 alla previsione di 149 milioni nel 2050; una popolazione anziana presenta una maggior incidenza di malattie croniche correlati all’età1.

Di fatto, nei prossimi anni vedremo aumentare il numero di persone da assistere e diminuire proporzionalmente le risorse economiche da impiegare per l’assistenza. Con ogni probabilità, sarà anche sempre più difficile reperire personale non qualificato da dedicare all’assistenza (badanti, ecc.) in quanto le nuove generazioni aspirano come prevedibile a mestieri più qualificati anche nel campo assistenziale (medici, infermieri, ecc.).

In Italia abbiamo “tamponato” la falla grazie all’immigrazione di decine di migliaia di persone (non specializzate) dall’Est Europa, ma quando l’Est non sarà più terra d’emigrazione, le cose si faranno più complicate. La situazione, insomma, non è rosea, e non sarà possibile risolvere il problema con metodi tradizionali. L’unica possibilità concreta è la necessità di razionalizzare i costi dell’assistenza, riducendoli grazie all’impiego delle nuove tecnologie.

Robot assistenti

L’ipotesi che sta riscuotendo maggiore successo per risolvere il problema dell’assistenza di massa agli anziani è l’utilizzo di un mix di tecnologie robotiche, di intelligenza artificiale e di telecontrollo. Qualunque appassionato di film di fantascienza direbbe, a questo punto, “ma è ovvio, perché non ci hanno pensato prima?”. Il fatto è che sarebbe stato difficile pensarci prima, perché le tecnologie di base necessarie per realizzare questo tipo di soluzioni sono disponibili sul mercato (nella forma voluta) solo da pochissimo tempo.

Prendiamo la robotica, per esempio. È soltanto da una decina d’anni che l’industria della robotica, e in generale il mondo della ricerca universitaria, hanno iniziato a esplorare in modo metodico il settore chiamato della “robotica collaborativa”, cioè quello delle macchine in grado di interagire e collaborare con gli esseri umani: prima che iniziassero queste ricerche, i robot erano quelli industriali, apparecchi spesso pesanti qualche tonnellata che devono operare in un recinto protetto, perché i loro velocissimi movimenti potevano abbattere facilmente qualsiasi persona entrasse inavvertitamente nel loro raggio d’azione.

L’interazione ha fatto passi avanti significativi con l’arrivo di robot di piccole dimensioni, nati per esempio per eseguire piccoli montaggi nell’industria manifatturiera; le dimensioni di questi robot li rendevano compatibili con gli operatori umani, anche se mancava ancora un elemento. L’aggiunta a questa tipologia di robot di sensori per rilevare il contatto con l’operatore umano (per esempio sistemi di rilevamento di forze di rotazione o “rilevamento della coppia”) o il suo avvicinamento alla macchina (per esempio barriere laser o ultrasoniche) e lo sviluppo di appropriati algoritmi di reazione hanno portato l’elemento mancante, cioè hanno dato al robot la capacità di adeguare il proprio operato alle condizioni dettate dalla presenza umana.

A questo punto sono diventati disponibili robot piccoli e in grado di interagire con un umano, ma per poterli utilizzare in compiti assistenziali mancava ancora la possibilità di movimento. Per aggiungerla, si è dovuto attendere il miglioramento delle tecnologie delle batterie, oltre alla riduzione dei costi e delle dimensioni dei sistemi di controllo, ottenuta in seguito grazie all’uso di piattaforme standardizzate e, in alcuni casi, anche open source.

A questo punto è diventato possibile svincolare il robot da una posizione di lavoro fissa, realizzando automi semoventi con autonomia sufficiente per l’utilizzo assistenziale.

La seconda tecnologia innovativa necessaria era l’intelligenza artificiale, o AI. I primi studi su questi argomenti risalgono a poco dopo la metà del secolo scorso, ma anche in questo caso solo negli ultimi anni si è presa la strada giusta, dopo una serie di false partenze. Al momento, i software commerciali di intelligenza artificiale usano tutti algoritmi cosiddetti a “rete neurale”, un tipo di architettura che riproduce in un certo senso il modo di lavorare dei gruppi di neuroni umani.

Tipicamente, una macchina dotata di intelligenza artificiale va “istruita” su quello che deve fare, sottoponendole svariate iterazioni dei dati che dovrà analizzare, fino a che non “impara” come trattarli. Questa fase si chiama “training” (addestramento) ed è tipica dei sistemi cosiddetti di machine learning, ovvero delle macchine capaci di apprendere. La cosa forse più strana è che sappiamo che questi algoritmi neurali normalmente funzionano, visto che ne abbiamo la prova ogni volta che mettiamo al lavoro un sistema di questo tipo, ma non sappiamo ancora bene perché funzionino: molti scienziati sono impegnati da anni nell’analisi delle reti neurali per poter creare un modello matematico in grado di spiegarne appieno il funzionamento. Tuttavia, fino a che non riusciranno nel loro intento, le “Neural Network” continueranno a funzionare senza che noi sappiamo perché – e questo può avere implicazioni negative sull’affidabilità dei risultati ottenibili.

Ultima tessera del puzzle ad andare al suo posto è il telecontrollo. Per telecontrollo si intende un sistema per il controllo di apparecchiature o ambienti da una centrale posta a distanza, in grado di inviare comandi ai sistemi controllati. Sistemi di telecontrollo sono in uso da anni per macchinari situati in zone pericolose di uno stabilimento, per paratoie di dighe poste in luoghi remoti, e così via.

Ma un sistema di telecontrollo per un’abitazione richiede altre caratteristiche. Per esempio, una connettività continua, a larga banda ma economica, per consentire per esempio la trasmissione verso la sala di controllo di vari flussi video da telecamere di sorveglianza installate nei vari locali. E se per gestire flussi video di questo tipo potrebbe essere sufficiente una connessione via cellulare 4G, se si vuole realizzare qualcosa di più sofisticato – per esempio la possibilità di pilotare da remoto un robot semovente che vada ad aiutare un anziano appena caduto a terra – è necessario impiegare una tecnologia di comunicazione che abbia larga banda ma anche bassissima latenza, ovvero, un tempo di ritardo minimo fra l’invio del comando dalla centrale e la sua esecuzione da parte del robot. Questa è una tipica applicazione da 5G, il nuovo sistema di rete cellulare ad alta velocità e larghezza di banda, che alcuni provider hanno cominciato a installare nel nostro Paese qualche mese fa.

Le prime sperimentazioni

Anche se solo oggi disponiamo di tutte le tecnologie necessarie per realizzare soluzioni di robotica assistenziale, gli esperimenti pratici in questo campo sono iniziati da almeno 4 o 5 anni.

Risale al 2015 la presentazione di Robear, un robot assistenziale progettato in modo specifico per sollevare pazienti e anziani, per esempio per spostarli dal letto alla sedia a rotelle o alla vasca da bagno. Robear era semi-antropomorfo, ma aveva la testa da orsacchiotto per renderlo più “gradito” ai pazienti.2 Già, perché fin dai primi esperimenti è emerso un fatto: pazienti e anziani non gradiscono particolarmente essere assistiti da robot, e preferirebbero interfacciarsi con assistenti umani. Un sondaggio condotto negli USA rivelava che mentre il 68% degli intervistati era d’accordo sul fatto che i robot fossero utili in quanto aiutavano le persone, solo il 26% di essi dichiarava che si sarebbe sentito a suo agio se in ospedale o a casa fosse stato assistito da un robot programmato per aiutarlo e tenergli compagnia. Per questo sono in corso ulteriori studi per rendere i robot in qualche modo più piacevoli per gli esseri umani o, in altre parole, per far sì che l’anziano provi “empatia” per il robot. L’idea di base è che l’uso della robotica nell’assistenza a pazienti e anziani dovrebbe essere mirata al miglioramento della qualità della vita e non solo a ridurre i costi sostenuti dallo Stato per l’assistenza.

Su questa linea si sono fatti ulteriori esperimenti, qualche anno fa, con l’utilizzo di robot che simulavano animali da compagnia, in particolare un cucciolo di foca (Paro)3 e un gatto (Joy for All)4. Macchine nettamente diverse come concetto (Paro costava sui 6000 dollari ed era nato per la sperimentazione della pet therapy robotizzata su anziani con demenza senile, mentre Joy for All è nato come giocattolo prodotto da Hasbro e costava sui 100 dollari) ma che puntavano allo stesso obiettivo di migliorare il decadimento nella demenza senile; in uno studio controllato, le visite di Paro hanno dimostrato un’efficacia paragonabile a quelle di un vero cane nel diminuire i sintomi depressivi nei residenti di Residenze sanitarie assistite che presentavano un’ampio spettro di disturbi senili, ma soprattutto demenza a differenti stadi, per quanto non è definito la correlazione di questa diminuzione dei sintomi depressivi5.

Altri tipi di robot utilizzabili in compiti assistenziali sono i cosiddetti AGV, authonomous guided vehicle o veicoli a guida autonoma. Si tratta in pratica di carrelli nati per trasportare oggetti da un punto all’altro di una fabbrica, dotati di sistemi di guida che memorizzano i percorsi e che evitano gli ostacoli. Apparecchi di questo tipo progettati, per uso domestico (quindi con dimensioni più contenute e maggiore agilità di movimento), potrebbero essere molto utili a persone anziane o allettate, soprattutto se combinati con un robot collaborativo a bordo del mezzo, capace di caricare/scaricare oggetti in autonomia o tramite controllo da centrale operativa.

La ricerca in Europa

Anche in Europa si sono sperimentate soluzioni di robotica assistenziale. Citiamo qui un paio di casi. Il primo è Giraff+, un progetto di ricerca dell’Unione Europea che mirava a verificare come una rete di sensori, insieme a un robot, possano aiutare le persone anziane a condurre un’esistenza più sicura e indipendente, e vivere serenamente le relazioni sociali dalla propria casa. Al centro del sistema troviamo Giraff, un robot di telepresenza che può muoversi nella casa della persona e permette l’interazione con familiari, amici e figure assistenziali in videoconferenza.6

Il sistema Giraff+ è dotato di sensori installati nell’abitazione e in dispositivi indossabili. I sensori sono progettati per rilevare le varie attività in corso, come cucinare, dormire o guardare la televisione. In più, forniscono anche informazioni mediche, monitorando per esempio la pressione sanguigna e la temperatura corporea dell’inquilino. Questo permette a chi si occupa della persona di monitorare a distanza il suo stato di salute, rilevando anche eventuali cadute. Giraff+ è stato installato alla fine del 2014 in 15 abitazioni sparse in Europa, una delle quali in Italia presso una signora 94enne.

La sperimentazione si è chiusa a fine 2015 con ottimi risultati, ma l’esperimento non sembra aver avuto seguito – o almeno non se ne trova traccia nei documenti dell’Unione Europea.

Più recente è il progetto multidisciplinare Caresses, coordinato da Antonio Sgorbissa dell’Università di Genova, che ha l’obiettivo di sviluppare il primo robot di assistenza agli anziani capace di adattarsi alla cultura della persona. Il progetto coinvolge, oltre al dipartimento di Informatica, Bioingegneria, Robotica e Ingegneria dei sistemi dell’UniGe, altri 6 partner europei e 3 giapponesi.

Il sistema Caresses aiuterà le persone anziane in vari modi. Per esempio, ricorderà loro di prendere le medicine (riducendo il problema della scarsa aderenza terapeutica), li incoraggerà a svolgere una vita attiva e a restare in contatto con amici e parenti. Le azioni del robot saranno eseguite prestando attenzione alle pratiche culturali e alle preferenze individuali della persona. La cosa è resa possibile proprio dall’uso dell’intelligenza artificiale, dotata all’uopo di una sorta di “competenza culturale”.7

La parte robotica vera e propria è costituita dal robot Pepper della francese Softbanks Robotics Europe, all’avanguardia nella produzione di robot umanoidi, che è già installato in circa 500 case di riposo giapponesi.

Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma H2020 e dal ministero degli affari Interni e delle Comunicazioni del Giappone. La sperimentazione di Caresses è iniziata a fine 2018 ed è tuttora in corso.

Evoluzioni

Al momento, risultati interessanti sono stati conseguiti anche dai cosiddetti robot MRT (Mobile Robotic Telepresence), macchine semoventi costituite in pratica da un monitor posto ad altezza d’uomo su un supporto semovente, controllabile per mezzo di una app sullo smartphone. Il loro scopo principale è di permettere all’anziano di essere, per così dire, visitato virtualmente da parenti e amici, anche se essi vivono in posti lontani. Anche se la comunicazione avviene tramite uno schermo di computer, la presenza fisica del robot riproduce l’interazione faccia a faccia generalmente preferita dalle persone che hanno poca familiarità con le macchine, come spesso succede per gli anziani.

Gli MRT hanno lo svantaggio di richiedere comunque un operatore umano, cosa che limita la quantità di interazione possibile. Anche qui, l’aggiunta di software basati su intelligenza artificiale ha fatto sì che l’interazione potesse essere stabilita direttamente fra anziano e robot, il quale spesso ha preso la forma di un “pet”, vedi il caso di Paro citato più sopra, o dell’Aibo, il cagnolino robot di Sony.

È indubbio che lo sviluppo di macchine antropomorfe di questo tipo, spesso definite “Social Robot”, capaci di aiutare l’anziano a comunicare con l’esterno, in grado di assisterlo in semplici compiti (spostarsi, spostare oggetti), e capaci di tenerlo monitorato attraverso sensori capaci di captare le sue funzioni vitali, sarà un fattore decisivo per ridurre i costi dell’assistenza per gli Stati, contemporaneamente migliorando le condizioni di vita delle persone assistite. È quanto emerge dallo studio effettuato con Zora, robot umanoide con funzioni sociali utilizzato per intrattenimento in uno studio clinico in pazienti residenti in assistenza residenziale. L’utilizzo di Zora si è dimostrato utile nei pazienti anziani e il suo utilizzo nella pratica potrebbe essere promettente in situazioni quali la riabilitazione motoria e nel migliorare le interazioni comunicative e sociali in pazienti con funzione cognitiva conservata8.

Cruciale è quindi riuscire a creare intelligenze artificiali capaci di farsi accettare dagli assistiti, per evitare pericolosi fenomeni di rigetto. Sarà anche importante far capire all’opinione pubblica che i social robot servono ad aiutare il personale specializzato nella cura degli anziani, ma non a sostituirlo completamente. L’assistente umano, pur se presente per la maggior parte del tempo in forma virtuale, dovrà mantenere sempre il controllo sulla macchina per garantire l’assenza di pericoli. A queste condizioni, i robot potranno rappresentare il futuro dell’assistenza agli anziani e ai malati.

L’autore

Gianluigi Bonanomi

Giornalista professionsita, con expertise in ambito technology e digital.

Bibliografia

  1. Ageing Europe – statistics on population developments. https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Ageing_Europe_-_statistics_on_population_developments#Older_people_.E2.80.94_population_overview
  2. Informazioni disponibili su: http://www2.meijo-u.ac.jp/~mukai/theme-e.html; ultimo accesso 25/03/2020
  3. Informazioni disponibili su: http://www.parorobots.com/whitepapers.asp; ultimo accesso 25/03/2020
  4. Informazioni disponibili su: https://joyforall.com/; ultimo accesso 25/03/2020
  5. Thodberg K, et al. Psychogeriatrics. 2016; Sep 16 (5), 289-97
  6. Informazioni disponibili su: https://cordis.europa.eu/project/id/288173; ultimo accesso 25/03/2020
  7. Informazioni disponibili su: http://caressesrobot.org/it/; ultimo accesso 25/03/2020
  8. Huisman C, Kort H. Healthcare (Basel). 2019; Feb 19: 7 (1)

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