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Nervi artificiali: dal paziente al robot, le applicazioni possibili

Nervi artificiali: dal paziente al robot, le applicazioni possibili

Non disponiamo ancora di terapie capaci di rigenerare nervi recisi o degenerati. Ma la ricerca tecnologica sta cominciando a dare i suoi frutti, e i primi annunci di risultati concreti nel settore dei nervi artificiali cominciano ad arrivare. Scopri le ultime novità dal mondo tecnologico.

Data di pubblicazione: 08 febbraio 2019

Pur con tutti i progressi registrati dalla chirurgia negli ultimi decenni, che ci hanno permesso di intervenire sulla quasi totalità degli organi del corpo umano, esiste ancora un settore nel quale non riusciamo a ottenere risultati validi: parliamo del sistema nervoso periferico e dei nervi in particolare.

Oggi, un trauma al midollo spinale può significare la condanna alla sedia a rotelle, o anche peggio, a seconda di dove si trovi la lesione.

Eppure, la ricerca da anni lavora sulle problematiche legate al sistema nervoso, e gli sforzi sono andati in varie direzioni, tra cui:

  • ricerca di farmaci o trattamenti in grado di far ricollegare le estremità dei nervi tagliati,
  • l’implementazione di nuove metodologie chirurgiche,
  • lo sviluppo di “ponti” elettronici che permettano di ripristinare il collegamento nervoso.

L’impegno profuso comincia a dare i suoi frutti, e negli ultimi anni si sono avuti alcuni annunci interessanti da ricercatori e tecnici impegnati in questo delicato campo della scienza.

Tecnologia Neurobridge

Già nel 2014 è stata mostrata per esempio la tecnologia Neurobridge: una sorta di “bypass” che permette ai pazienti tetraplegici di recuperare il movimento della mano e del polso, bypassando i nervi e mandando gli ordini ai muscoli raccogliendo i segnali direttamente dal cervello, tramite un chip di 4x4mm impiantato chirurgicamente nella corteccia motoria del paziente. Il chip cattura i segnali del cervello che indicano la volontà di effettuare un movimento, e li trasmette a un computer che li decodifica e li trasforma in segnali elettrici destinati a speciali elettrodi posti su una cuffia posizionata intorno al braccio. Si potrebbe dire che il paziente “muove la mano con il pensiero”, anche se non ci sono segnali diretti in transito fra cervello e muscoli, ma è il sistema computerizzato ad interpretare la volontà del paziente trasferendo i relativi ordini ai muscoli.

Al momento, il sistema è ancora in test clinico e i pazienti riescono a compiere semplici azioni quali afferrare e muovere oggetti, mescolare bevande, strisciare una carta di credito o giocare con un videogame.

Tuttavia, il punto critico di questo e di altri sistemi simili è il fatto di essere basato su tecnologie hardware tutto sommato convenzionali, come chip digitali e cavi. Tecnologie che possono avere qualche difficoltà ad adattarsi all’ambiente biologico del corpo umano, cui sono totalmente aliene.

Dita bioniche

Oltre alla ricerca orientata a ridare funzionalità ad arti con mobilità compromessa a causa di lesioni al midollo spinale, c’è anche la ricerca che si occupa di ricreare arti artificiali che si connettano nel modo migliore al corpo del paziente. Anche qui, il fatto di essere ormai in grado di decodificare e ricodificare i segnali che normalmente viaggiano nel sistema nervoso periferico sta portando a grandi progressi. Un esempio è il “dito bionico” realizzato nel 2014 da ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con la Scuola Politecnica di Losanna.

Si tratta di un dispositivo dotato di sensori tattili, in grado di tradurre i segnali emessi dai sensori stessi quando toccano una superficie, in impulsi codificati per essere quindi inviati ai nervi del paziente amputato, e compresi dal cervello. Le sperimentazioni hanno mostrato che i pazienti amputati, usando il dispositivo, erano in grado di distinguere correttamente la “texture” di una superficie nel 96% dei casi. Paradossalmente il gruppo di controllo di pazienti non amputati ha riconosciuto le texture solo nel 77% dei casi.

Comunque, il successo dell’esperimento dimostra i progressi fatti su uno dei punti fino a poco tempo fa più critici: decifrare il significato dei segnali che corrono nei nervi, traducendolo nel linguaggio usato dai nostri dispositivi artificiali, e viceversa.

Mani bioniche

Lo stesso gruppo di lavoro ha di nuovo stupito tutti a settembre 2018, quando è trapelata la notizia di un paziente con la prima mano bionica dotata di senso del tatto, una evoluzione del dito bionico realizzato due anni prima. A differenza del dito, la mano bionica ha dimensioni del tutto identiche a quelle di una mano biologica, mentre il sistema di controllo che si occupa di tradurre i segnali del cervello in movimenti dell’arto artificiale, e viceversa, è stato inserito in uno zainetto che il paziente poteva portare tranquillamente sulle spalle.

Il prossimo passo, ovviamente, sarà la miniaturizzazione dell’elettronica per arrivare, se non a inserirla direttamente nella protesi, almeno a somigliare a uno di quei dispositivi indossabili che si legano al braccio quando si va a fare jogging.

Nel processo di miniaturizzazione probabilmente è più avanti l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), che ha presentato qualche mese fa la sua mano bionica con tutta la circuitazione contenuta nell’arto artificiale; tuttavia, anche se il funzionamento è mioelettrico (due sensori catturano gli impulsi inviati ai muscoli residui del braccio e li interpretano per far muovere la mano), in questo caso manca il “feedback”, ovvero la codifica e trasmissione al cervello del senso del tatto.

Nel caso del dispositivo realizzato dalla Scuola Sant’Anna, che invece incorpora di fatto una parte di sistema nervoso artificiale, il lavoro da fare non è banale: si tratta pur sempre di connettere qualcosa di biologico con qualcosa che biologico non è, e che presenta magari problematiche legate al consumo delle batterie, alle necessità di isolamento, ai possibili surriscaldamenti e via discorrendo.

Nervi artificiali

Da questi e altri esempi si può capire che, se il problema riguardante la codifica e decodifica dei segnali ormai è stato ben compreso e si avvia a soluzione, grazie all’uso di algoritmi informatici sofisticati che comprendono tecniche di intelligenza artificiale, machine learning e big data, il fattore critico rimane il rapporto fra dispositivo tecnologico e corpo umano. Potremmo dire che per migliorare la “compatibilità” fra il corpo e la tecnologia, quest’ultima dovrebbe diventare un po’ più “biologica”.

Ebbene, proprio in questa direzione hanno lavorato i ricercatori delle Università di Seoul e Stanford.

Tale gruppo di lavoro ha recentemente pubblicato una ricerca nella quale è descritto uno dei primi esempi di creazione di nervi artificiali funzionanti. Più esattamente, si tratta di un dispositivo che emula il funzionamento dei nervi che conducono al cervello i segnali provenienti dal senso del tatto, realizzato tramite un dispositivo organico flessibile artificiale dotato di sensori di pressione, pensato in modo da imitare la pelle umana. Il dispositivo, spiegano i ricercatori, adotta lo stesso meccanismo di trattamento dell’informazione che, come si è scoperto recentemente, viene usato dai nervi biologici.

In pratica, le componenti del sistema sono tre.

  • Il sensore tattile. È un sensore di pressione di tipo resistivo (come gli schermi touch dei vecchi computer palmari), è posto sulla superficie flessibile di materiale organico, la quale contiene anche i neuroni artificiali, che sono degli oscillatori ad anello anch’essi di tipo organico.
  • neuroni artificiali. Raccolgono i segnali emessi dai sensori e li trasmettono lungo la superficie, comportandosi come i nervi afferenti. I segnali trasportati dai neuroni arrivano infine a una sinapsi artificiale, costituita da un transistor organico a funzionamento elettrochimico.
  • La sinapsi artificiale integra i segnali provenienti da diversi neuroni e fornisce in uscita un segnale che, opportunamente amplificato, può essere usato per muovere dei muscoli.

Nel primo esperimento con tale tecnologia, i ricercatori hanno collegato l’uscita del transistor ad un amplificatore di tensione e di qui alla zampa di una blatta, che ha iniziato a muoversi ogni volta che il sensore veniva sottoposto a pressione. L’invenzione dei ricercatori coreani e americani, quindi, non è solo un nervo artificiale, ma va nella direzione di ricreare una pelle artificiale capace di avere le stesse capacità sensoriali della pelle umana, che è in grado di “sentire” gli stimoli, trasmetterli al cervello, di ordinare ai muscoli di reagire di riflesso nel caso gli stimoli siano pericolosi (calore per esempio).

Invenzioni come questa, che mimano il processamento dei segnali e le funzionalità dei sistemi biologici, possono semplificare la progettazione di sistemi bio-ispirati e rappresentare potenzialmente dispositivi compatibili con la vita di tutti i giorni.

Secondo i ricercatori, questi dispositivi organici sono vantaggiosi perché le loro funzionalità possono essere tarate secondo necessità, possono essere realizzati tramite stampaggio su larga scala a costi ridotti, e sono flessibili come i sistemi biologici più morbidi.

Il professor Tae-Woo-Lee della Seoul National University, ha confermato che il “nervo artificiale” che hanno sviluppato potrà essere impiegato su robot “bio-ispirati”, come nella realizzazione di arti protesici di nuova generazione, compatibili e confortevoli per i pazienti.

Il sistema nervoso biologico si rivela adatto per la soluzione dei problemi del mondo reale, dal processamento delle immagini al riconoscimento della voce, dal riconoscimento degli stimoli tattili al controllo dei movimenti.

Per tale motivo, scienziati e ingegneri stanno lavorando per mettere insieme tecnologie come il neuromorphic computing, i sensori bio-inspired, i controlli robotici e la protesica.

Infatti, l’approccio convenzionale, che prevedeva l’implementazione a livello software su computer tradizionali e la progettazione di circuiti usando normali componenti elettronici basati su silicio, ha mostrato varie criticità inclusi i consumi, i costi, e la capacità di svolgere funzioni multiple.

Se le promesse di queste tecnologie organiche saranno mantenute, si potrà fare un decisivo passo in avanti rispetto a quanto permesso dalle convenzionali architetture elettroniche per il calcolo digitale oggi in uso.

L’autore

Gianluigi Bonanomi

Giornalista professionsita, con expertise in ambito technology e digital.

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