Igiene in corsia: i dati sull’ottemperanza del personale sanitario
Nonostante campagne di sensibilizzazione e linee guida internazionali promosse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che standardizza i cinque momenti in cui i sanitari devono ricorrere al lavaggio delle mani1, il tasso di ottemperanza del personale sanitario a questa misura non supera il 40%1,2, con i medici meno aderenti rispetto al personale infermieristico1,3. Come migliorare questa situazione?
La pandemia da SARS-CoV-2 ci ha ricordato la grande importanza delle misure igieniche come strumento di prevenzione primaria dalla trasmissione di malattie infettive, con una particolare attenzione per il lavaggio delle mani. In realtà, il riconoscimento del ruolo dell’igiene delle mani nella pratica clinica risale già alla metà del XIX secolo, quando l’ungherese Semmelweis osservò che un lavaggio con calce clorurata fosse in grado di ridurre significativamente il rischio di mortalità materna per febbre puerperale1,4. Sebbene non accettata inizialmente dalla comunità scientifica1, questa scoperta ha portato ad una radicale trasformazione negli ultimi 50 anni dei percorsi assistenzialistici dei pazienti negli ambienti ospedalieri, grazie alla possibilità di minimizzare il rischio di infezioni correlate all’assistenza (ICA), che purtroppo ad oggi pesano ancora sul piano sanitario con tassi di incidenza fino al 10-15% solo nei paesi industrializzati e tassi di mortalità fino al 2,7% in Europa1,4.
Nonostante campagne di sensibilizzazione e linee guida internazionali promosse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che standardizza i cinque momenti in cui i sanitari devono ricorrere al lavaggio delle mani (Tabella 1)4, il tasso di ottemperanza del personale sanitario a questa misura non supera il 40%, scendendo addirittura al 20% nei paesi in via di sviluppo1,2.
I 5 momenti dell’igiene delle mani |
1. Prima di toccare il paziente |
2. Prima di una pulizia o procedura asettica |
3. Dopo il rischio di esposizione a fluidi corporei |
4. Dopo aver toccato il paziente |
5. Dopo aver toccato le superfici nell’area del paziente |
Le ragioni di questa inadempienza sono molteplici, sia sul piano personale, come la mancanza di adeguata formazione o la paura di irritazioni cutanee, sia legate all’ambiente di lavoro, in particolare la presenza di carichi eccessivi, la mancanza di tempo, il sovraffollamento e la carenza di accessibilità ai detergenti1,2. In molti casi è l’uso dei dispositivi di protezione, come i guanti, ad essere erroneamente considerato un sostituto del lavaggio delle mani piuttosto che una integrazione, peraltro spesso senza un corretto ricambio tra i pazienti, aumentando così il rischio di cross-contaminazione e ICA1.
Per cercare di superare questi limiti, negli ultimi decenni sono state studiate nuove strategie in grado di ottimizzare il ricorso al lavaggio delle mani. Per esempio, da oltre 20 anni il classico utilizzo di acqua e sapone è stato superato dalle soluzioni alcoliche al 60%-80%, ormai riconosciute come gold standard dell’igiene in corsia1. Infatti, queste non necessitano di lavandini per risciacquo con acqua, aumentando significativamente l’accessibilità per il personale e riducendo il tempo necessario per il lavaggio. Inoltre, è stato riconosciuto come la presenza di agenti emollienti come il glicerolo abbia permesso di ridurre notevolmente il rischio di irritazione cutanea da contatto, rendendo questo metodo più sicuro rispetto ad acqua e sapone1. L’OMS ha notevolmente investito a livello mondiale nelle campagne di formazione sull’uso delle soluzioni alcoliche, mettendo a disposizione una grande quantità di materiali audiovisivi in diverse lingue (presentazioni, video esplicativi, brochure, opuscoli), sia finalizzati allo sviluppo di conoscenze autonome che come supporto per i centri ospedalieri nella formazione delle proprie risorse1. L’effettivo ricorso al lavaggio delle mani è stato calcolato come il rapporto tra il numero di volte in cui si effettua questo gesto ed il numero totale di occasioni in cui si sarebbe dovuto effettuare1: strumenti di monitoraggio come l’autovalutazione da parte del sanitario, la presenza di osservatori esterni, o il ricorso a sistemi elettronici sono stati essenziali per ottimizzare l’adesione del personale1, permettendone di osservare una riduzione della flora batterica residente sulle mani5. Se è stato dimostrato che per ogni aumento del 10% dell’igiene delle mani corrisponde una riduzione delle infezioni da S. aureus del 15%6, si comprende come sia fondamentale estendere quanto più possibile queste strategie di formazione e monitoraggio in modo standardizzato a tutte le realtà di cura, al fine di abbattere il rischio di ICA e salvaguardare la salute di tutti i pazienti che quotidianamente si rivolgono a strutture sanitarie nel mondo.
L’autore
Redazione VadeMedicum
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