Login con   logo Medikey ACCEDI | REGISTRATI

Cerca nel sito
HomeInnovazione tecnologicaLe nuove tecnologie in medicinaPersonal health device: dal personal fitness al personal healthiness

Personal health device: dal personal fitness al personal healthiness

Personal health device: dal personal fitness al personal healthiness

Dopo il boom dei dispositivi personali dedicati al fitness, le aziende produttrici mirano alla conquista del segmento health. Sensori in grado di rilevare il battito cardiaco o il dosaggio di glucosio nel sangue sono già disponibili da tempo, e ci sono già in commercio dispositivi consumer che li incorporano. Ma a che punto siamo con le omologazioni? Si possono davvero impiegare per uso medico? Quali sono i rischi, e quali i vantaggi? E i problemi per la privacy?

Data di pubblicazione: 16 novembre 2022

Sono passati appena quarant’anni da quando il computer è diventato “personal”, e in questo lasso di tempo relativamente breve abbiamo assistito a una serie di rivoluzioni nelle tecnologie digitali, volte a ridurre le dimensioni, il peso, i costi degli apparecchi per aprire nuovi mercati. Così si è passati dal personal computer da tavolo al notebook portatile, poi a dispositivi come smartphone e tablet, e infine ai cosiddetti “wearable”, ovvero device studiati per essere indossati dall’utilizzatore: orologi digitali, bracciali, occhiali e via discorrendo.

I primi prodotti di questa categoria, a dire il vero, hanno un po’ stentato a farsi largo nelle preferenze del pubblico, ma questo più che per problemi della tecnologia (che pure, in parte, c’erano) si verificava per la mancanza di una “killer app”, ovvero un utilizzo specifico, un problema risolvibile solamente con dispositivi di quel tipo.

Il primo tentativo riuscito fu di Apple, che con il suo Smartwatch caratterizzò l’indossabile come un sostituto dell’orologio capace anche di fare da “terminale” per lo smartphone.

 

L’arrivo di Apple diede al mercato degli indossabili l’impulso che gli mancava, facendo decollare le vendite e sdoganando questa tipologia di apparecchi. Tuttavia, non si era ancora individuata una vera killer app. Ma non ci volle molto a trovarla: gli indossabili erano perfetti per l’utilizzo nello sport, come “allenatori digitali”, capaci di tenere sotto controllo tempi, velocità e distanze percorse, suggerire esercizi, dettare i ritmi, rilevare i risultati e i miglioramenti prestazionali.

Così, nel giro di pochi anni è stato tutto un fiorire di dispositivi ottimizzati per applicazioni fitness e sportive, con nomi come Fitbit e Garmin al centro dell’attenzione. Anche Apple aveva dotato le nuove serie di Smartwatch di funzionalità pensate per il fitness.

Strategie per migliorare la sicurezza informatica

Ma non ci si fermò lì. Ai dispositivi digitali mancava, per essere dei veri allenatori, la capacità di tenere sotto controllo lo stato fisico dell’atleta, in modo da poter adeguare il carico di lavoro alle effettive condizioni. Fu così che cominciarono ad arrivare nei negozi dispositivi dotati di sensori biomedici. Sensori capaci per esempio di rilevare il ritmo cardiaco, se non addirittura di eseguire un vero e proprio monitoraggio arrivando a produrre un cardiogramma, di controllare i ritmi sonno/veglia, di contare i passi, eccetera.

Questa nuova famiglia di funzionalità era quello che mancava ai wearable, e anche grazie a essa il tasso di adozione dei nuovi apparecchi è cresciuto e si stima che abbia raggiunto nel 2020 la cifra di 34 miliardi di dollari1.

Con l’allargamento del mercato, è aumentata anche l’offerta, che si è suddivisa in alcune categorie principali di dispositivi. Fra le principali, i Fitness Trackers, capaci di monitorare l’attività fisica di chi li indossa; gli Smart Health Watches, orologi digitali capaci di coordinarsi con lo smartphone e dotati di sensori per la misura di alcuni parametri vitali.

L’Apple Smartwatch per esempio monitora il battito cardiaco e può segnalare eventuali battiti irregolari: l’azienda di Cupertino ha lanciato nel 2017 una app specifica. Le versioni più recenti del dispositivo usano l’accelerometro incorporato per capire se la persona che lo indossa è caduta (nel qual caso è in grado di lanciare un allarme) e per monitorare la condizione dei malati di Parkinson.

Ci sono poi i veri e propri rilevatori di ECG indossabili, come il modello di Withings presentato quest’anno al CES e premiato come miglior dispositivo indossabile. Altra categoria sono i rilevatori della pressione del sangue, come l’HeartGuide lanciato quest’anno da Omron, e i cosiddetti Biosensori, nettamente diversi dalle altre categorie perché non somigliano a orologi o braccialetti. Un esempio è il Philips Wearable Biosensor, una sorta di cerotto adesivo che una volta attivato raccoglie dati su chi lo indossa, riguardo ai movimenti che compie, al ritmo cardiaco, al ritmo respiratorio e alla temperatura corporea. Rispetto agli altri dispositivi, di uso prevalentemente consumer, quest’ultimo nasce per dare supporto al personale ospedaliero e delle case di riposo, aiutandoli a rendere più efficiente il monitoraggio dei singoli pazienti riducendo contemporaneamente il carico di lavoro dello staff.

Usi avanzati

In generale, il mercato degli indossabili per uso fitness e health cresce all’incirca del 10% all’anno, e si prevede che nel 2023 ce ne saranno in circolazione 120 milioni di esemplari. Tanto che già si pensa a estendere il loro utilizzo. Per esempio, le compagnie di assicurazioni stanno considerando di dotare i loro assicurati di dispositivi wearable, perché è ormai dimostrato che questi apparecchi incoraggiano le persone a essere più attive e a seguire meglio la loro salute. Questo porta a una riduzione delle malattie, dei ricoveri… e delle spese per le assicurazioni. Sul fronte degli esperimenti già effettuati, citiamo invece la Stanford University, che aveva usato lo Smartwatch di Apple per condurre uno studio a largo spettro sulle anomalie del battito cardiaco su una popolazione volontaria di oltre 400.000 volontari di ogni età nel quale un fotopletismografo fornisce una rilevazione del numero dei battiti. La rilevazione di battiti irregolari comportava un warning al paziente, al quale veniva poi spedito un patch ECG con conseguente conferma o meno di questa rilevazione. Il bias dello studio è rappresentato dai pazienti di tutte le età e la partecipazione su base volontaria. La conferma di FA si è avuta in un terzo dei casi segnalati2,3.

Proprio questo primo storico studio (iniziato nel 2017) solleva però due interrogativi non da poco.

I dubbi

Il primo punto di domanda sui wearable è se siano davvero utilizzabili come device medicali. Ovvero, quanto possano essere precisi, affidabili, e non influenzabili da fattori esterni nelle loro misure.

Come sa qualunque tecnico di laboratorio, la precisione e ripetibilità delle misure in ambito medicale sono fondamentali perché eventuali errori possono mettere a rischio la vita di una persona.

Se si confrontano i dati ottenuti con il fotopletismografo rispetto all’ECG tradizionale ottenuti da uno studio simile, si osserva sensibilità del 93,7%, una specificità del 98,2% e un’accuratezza del 96,1%4.

Il secondo interrogativo riguarda la privacy. Sappiamo che i dati riguardanti la nostra salute sono considerati sensibili, e quindi godono di particolare protezione e diritto alla riservatezza. Ma come possiamo essere certi che i nostri tracciati cardiaci, o altri dati potenzialmente in grado di svelare a terzi le malattie di cui soffriamo, siano realmente al sicuro quando, per esempio, vengono trasmessi sulla normale rete cellulare per essere esaminati dal nostro medico curante?

È fondamentale regolamentare

La risposta al primo dubbio, sulla precisione e adeguatezza al compito dei wearable, sta sicuramente nell’emissione di regolamenti e normative che i produttori debbano rispettare per ottenere una sorta di omologazione. Si tratta quindi di adottare procedure rigorose per la certificazione dei dispositivi wearable rispetto ai compiti legati alla salute. Solo i dispositivi rispondenti a questi regolamenti potranno essere considerati, a tutti gli effetti, dispositivi medici. Gli altri, pur se dotati di sensori per il battito cardiaco, di sensori del glucosio nel sangue, o di altri sensori fantascientifici, dovranno essere considerati per quello che sono: simpatici gadget, apparecchi consumer che possono magari dare un’idea dello stato del nostro corpo, ma dei quali non possiamo fidarci per applicazioni “life-critical”.

Le procedure di omologazione vengono normalmente gestite da enti specifici posti sotto il controllo statale. Negli Usa se ne occupa la FDA, Food and Drugs Administration, tramite un’apposita divisione: la Center for Devices and Radiological Health (CDRH). All’interno di quest’ultima opera una sezione dedicata alla Digital Health, che si dedica espressamente al mondo di tutti quei dispositivi medici che possono connettersi e comunicare con altri dispositivi e sistemi informatici. Questo comprende argomenti diversissimi che vanno dai dispositivi consumer alla telemedicina, dalle app al benessere, dall’interoperabilità dei dispositivi alla cybersecurity. Fra le attività della divisione c’è anche quella di emettere regolamenti, normative, o semplici suggerimenti sull’utilizzo corretto dei vari dispositivi5.

Nel nostro continente, l’EU si è dotata nel 2017 di una Medical Device Regulation, che entrerà definitivamente in vigore a fine maggio del 2020, e che andrà a sostituire l’attuale Medical Device Directive6. L’Unione Europea ha definito in modo abbastanza generico i dispositivi wearable, e da questo discende il fatto che non è facilissimo decidere quali vadano considerati dispositivi medicali (soggetti quindi a una serie di regole più stringenti) e quali no. In generale, il modo più semplice per capire se un dispositivo wearable è destinato a uso medico o no è di leggere come lo presenta l’azienda: per intenderci, se un braccialetto che rileva il battito cardiaco viene pubblicizzato come “dispositivo capace di informare il vostro medico sulle vostre condizioni di salute”, andrà considerato come dispositivo medico e richiederà quindi il rispetto di vari regolamenti per poter ottenere il marchio CE; se il produttore invece asserisce che il bracciale rileva il battito per trasmetterlo allo smartphone della vostra fidanzata, in un’app la cui schermata è un trionfo di cuoricini rossi e frasi d’amore, è abbastanza ovvio che si tratta di un gadget consumer senza la pretesa di essere usato come health monitor, e quindi i suoi requisiti saranno differenti.

Il problema della privacy

La maggior parte dei dispositivi wearable sono in grado di raccogliere, memorizzare e trasmettere una serie di dati medici, dati che sono classificati come sensibili nelle varie leggi europee sulla privacy (tipo la GDPR).

Ora, come fare a essere sicuri che questi dati non cadano in mani non autorizzate? Il problema è piuttosto spinoso, perché al momento, a parte la GDPR europea, non ci sono molte altre legislazioni nel mondo che abbiano recepito il problema. Così, se si usa un wearable in uno studio di popolazione (come hanno fatto l’Università di Stanford e la Apple nell’Apple Hearth Study)2, l’adottare precauzioni perché i dati vengano memorizzati solo in forma crittografata e perché i database non vengano trafugati, rimane affidato alla buona volontà di chi conduce lo screening.

Il discorso diventa ancora più complicato se parliamo di app malevole in grado di “rubare” i dati rilevati dai sensori di bordo a vostra insaputa, per esempio per passare informazioni riservate alla vostra compagnia di assicurazioni.

Visti i rapidi progressi delle tecnologie indossabili, sia dal punto di vista della miniaturizzazione, dell’autonomia, della precisione dei sensori e della potenza di calcolo, sembra plausibile che quella della privacy sia la vera spada di Damocle che minaccia il settore.

Garantire la sicurezza e la riservatezza dei dati sulla nostra salute raccolti dai dispositivi wearable sarà insomma fondamentale perché il settore possa decollare in modo definitivo, e perché i consumatori possano utilizzare questi dispositivi con fiducia. Se non si riuscirà a ridurre il rischio di violazione della privacy, è probabile che gli utilizzatori decidano spontaneamente di non usare le funzionalità di connessione dei device con sistemi informativi remoti, rinunciando così alle applicazioni futuristiche e ai grandi vantaggi ottenibili tramite un monitoraggio su larga scala. Un esempio per tutti: la diagnostica remota pilotata da intelligenza artificiale ottenibile con sistemi tipo l’IBM Watson7.

Il punto di vista degli utilizzatori

Numerosi studi valutano la prospettiva dei principali stakeholder (pazienti con malattie reumatiche e operatori sanitari) sulle soluzioni di e-Health esistenti o teoriche. La maggior parte dei pazienti considera le soluzioni di e-Health come (possibilmente) benefiche per la propria salute, a condizione che queste soluzioni siano “su misura per le esigenze” e “sviluppate congiuntamente da operatori sanitari”. I pazienti supportano l’idea che l’e-Health potrebbe aumentare l’affidabilità del monitoraggio dei sintomi e della condivisione delle informazioni per ottenere dati affidabili sulla loro malattia. Anche i medici supportano l’idea che informazioni più dettagliate sulla gestione della malattia attraverso l’e-Health potrebbero migliorare il loro trattamento.
L’e-Health potrebbe inoltre fornire soluzioni per contribuire a ridurre le lacune di un’assistenza sanitaria che soddisfi il più possibile gli standard di cura, soprattutto in Paesi in via di sviluppo.

L’autore

Gianluigi Bonanomi

Giornalista professionsita, con expertise in ambito technology e digital.

Contenuti correlati

Cybersecurity nel settore sanitario

Robotica assistenziale

Alle radici della vita