Osteoporosi e fratture da fragilità: diamo i numeri
Le fratture da fragilità rappresentano una vera e propria emergenza per il nostro Paese: in Italia, solo nel 2017, si sono verificati circa 600.000 casi che hanno richiesto ospedalizzazione, ma si tratta di un numero altamente sottostimato. Questi dati prendono infatti in considerazione solo i casi di fratture ospedalizzate, ma le dimensioni di questa emergenza sono in realtà decisamente maggiori, se si considerano anche tutte quelle che non sono state registrate perché senza ricovero.
Data di pubblicazione: 16 settembre 2019
Una frattura da fragilità rappresenta un campanello d’allarme che va preso in seria considerazione: la persona che ne viene colpita avrà un rischio 5 volte superiore, rispetto al resto della popolazione, di incorrere in un secondo episodio nei successivi due anni.
Ciononostante, gli studi suggeriscono che il 75% dei pazienti anziani non riceva un trattamento farmacologico per l’osteoporosi in seguito a una frattura del femore. Si stima che in tutto il mondo una donna su tre e un uomo su cinque, dopo i 50 anni, verrà colpito da fratture da fragilità ossea.
Sebbene non se ne parli molto, si tratta problema tutt’altro che raro, che è destinato a crescere ulteriormente nei prossimi anni, complice anche l’aumentare della durata della vita. Le proiezioni sono preoccupanti: si parla di un incremento del 22,4% in meno di 15 anni. Nel 2017 si sono infatti verificate circa 560.000 nuove fratture da fragilità in Italia (che hanno richiesto ospedalizzazione, ma si tratta di un numero sottostimato) e si stima che questo numero salirà a 690.000 nel 2030.
Cosa sono le fratture da fragilità?
Le fratture non sono tutte uguali. Si tratta di un evento inevitabile quando a causarlo è un trauma la cui energia cinetica applicata a livello dell’osso sia di un’entità tale da superare i limiti di resistenza dell’osso stesso. Le fratture da fragilità sono invece eventi traumatici meno violenti dal punto di vista energetico e sono in grado di fratturare l’osso perché occorrono in segmenti indeboliti dal processo osteoporotico. Questa tipologia di fratture, in genere, colpisce determinati segmenti scheletrici come il collo del femore e la testa dell’omero, l’epifisi distale del radio (polso) e le vertebre, che rappresentano zone del corpo in cui è la stessa gravità del peso corporeo a esercitare un’azione deformante e dove la frattura può caratterizzarsi dapprima come un cedimento strutturale della vertebra, che porta poi a una “frattura graduale”.
L’osteoporosi
L’osteoporosi, letteralmente “osso poroso”, è una condizione che indebolisce le ossa nel tempo, rendendole più sottili, fragili ed esposte a fratture. Va considerata una malattia sistemica dello scheletro, caratterizzata da una ridotta massa ossea e da alterazioni qualitative. Può essere primitiva, se compare dopo la menopausa o comunque in età senile, o secondaria, qualora determinata da patologie e farmaci. Tra le classi di medicinali osteopenizzanti si possono ricordare: glucocorticoidi, inibitori di pompa protonica, ormoni tiroidei e anticoagulanti. Tra le patologie che rappresentano un rischio si possono menzionare malattie endocrine (come diabete o iperparatiroidismo), ematologiche, dell’apparato gastro-enterico (come celiachia o epatopatie croniche), reumatiche (come artrite reumatoide o lupus), renali, neurologiche (come le distrofie muscolari) e genetiche (come osteogenesi imperfetta, fibrosi cistica).
L’osteoporosi colpisce circa 200 milioni di persone al mondo, di cui 4 in Italia: 3.200.000 donne e 800.000 uomini. Uno dei problemi maggiori è dato dal fatto che è una “malattia silenziosa”, perché è asintomatica finché non si verifica una frattura, nella maggior parte dei casi causata da una caduta o un trauma banale. Solo allora mostra tutto il suo impatto sulla qualità di vita: le fratture sono causa di dolore acuto, disabilità e, in alcuni casi, perfino di mortalità. Si tratta di un problema che non deve essere sottovalutato dal medico, sia per il numero di persone interessate sia per il suo impatto sulla qualità di vita e sull’indipendenza. Gli eventi fratturativi sono infatti un grave ostacolo all’invecchiamento in buona salute. Rappresenta infatti la quarta patologia cronica per impatto sulla disabilità, superiore a BPCO, ictus ischemico, malattia di Parkinson e artrite reumatoide, e inferiore solo a cancro ai polmoni, demenza e cardiopatia ischemica, che al momento detiene il triste primato.
I fattori di rischio di osteoporosi
Il rischio di ammalarsi di osteoporosi non è uguale per tutti. Riconoscere i pazienti a maggior rischio permette di mettere in atto strategie di prevenzione che possono ridurre la probabilità di sviluppare questa patologia e quindi anche le conseguenti fratture da fragilità.
I principali fattori di rischio sono:
- Età avanzata
- Genere femminile
- Indice di massa corporea basso
- Precedenti fratture ossee in età adulta
- Cadute frequenti
- Familiarità per osteoporosi e/o per frattura di femore/vertebre
- Fumo
- Sedentarietà
- Menopausa precoce
- Ridotta assunzione di calcio
- Livelli bassi di vitamina D
- Consumo eccessivo di alcol (3 o più unità/die)
- Bassa densità minerale ossea
Attenzione alle cadute
Le cadute rappresentano una delle principali cause di frattura, soprattutto di femore. Spesso a causarle sono fattori modificabili in un contesto di interventi multidisciplinari. Il primo passo per difendere il paziente è quello di sensibilizzarlo sui fattori di rischio.
Questi possono essere ambientali – come ostacoli, scarsa illuminazione, superfici scivolose, calzature scomode – ma anche individuali, come:
- Anamnesi positiva per cadute precedenti
- Condizioni di compromissione di forza e massa muscolare (sarcopenia), della funzionalità degli arti inferiori, dell’equilibrio, della capacità visiva
- Deterioramento cognitivo
- Aritmie
- Farmaci (farmaci attivi sul SNC, antipertensivi, alcol)
- Deficit muscolare da ipovitaminosi D.
Diagnosi
La diagnosi tempestiva è cruciale per poter mettere in atto le migliori strategie di prevenzione o terapeutiche. Il primo passo è quello della valutazione del rischio e dell’opportunità di eseguire esami specifici per verificare se il paziente è ad alto rischio di fratture da fragilità potenzialmente debilitanti.
Compito del medico, dopo anamnesi e visita, è dunque quello di valutare se e quali test di laboratorio siano necessari. Uno strumento diagnostico importante è il test della densità minerale ossea. Il metodo più comune per verificare questo valore è la densitometria ossea, o mineralometria ossea computerizzata, indicata comunemente con la sigla MOC (chiamata anche assorbimetria a raggi X a doppia energia, DEXA).
I costi
L’osteoporosi è un problema diffuso, di rilevanza clinica e sociale. Le sue potenziali conseguenze, le fratture da fragilità, presentano costi ingenti, sia dal punto di vista economico che da quello dell’impatto sulla vita quotidiana, la cui entità varia in base al sito e alla gravità della frattura. Per esempio, tendono a essere più elevati in caso di fratture del femore, poiché questo tipo di frattura comporta le conseguenze più severe.
La spesa sanitaria è considerevole e ha una maggiore incidenza nel primo anno successivo a una frattura, soprattutto se ad essere colpita è l’anca. Si tratta di una cifra annua di circa 9,4 miliardi (2017) che, se le stime di crescita dell’incidenza del problema dovessero realizzarsi, è destinata a salire a 11,9 miliardi (+26,2%) nel 2030.
Si tratta di somme importanti, ma sono la conseguenza minore se si confronta invece con l’impatto sulla vita quotidiana del paziente e dei suoi familiari.
Attualmente nel nostro Paese si stimano oltre 717.000 giorni di assenza per malattia presi da lavoratori a causa di questi eventi e delle loro conseguenze. A questi vanno aggiunte le ore di assistenza a carico dei caregiver, che si stimano essere, ogni 1000 persone, di 263 in caso di fratture vertebrali, 443 per quelle d’anca e 130 per tutte le altre.
È necessaria una gestione attenta
Ritardo nelle diagnosi, mancanza di accesso alle terapie mirate e di continuità assistenziale sono i punti deboli dell’attuale percorso di presa in carico del paziente prima e dopo la frattura. È noto che una gestione migliore possa fare un’enorme differenza, e purtroppo non sempre la qualità dell’assistenza medica è consona, anche perché la sanità italiana è ancora a macchia di leopardo. La conseguenza è che sono ancora troppo numerose le persone che non ricevono un trattamento adeguato in seguito a una frattura.
Non diagnosticare con accuratezza e trattare tempestivamente può comportare diverse problematiche. Si pensi alle vertebre, nelle quali a volte non sono evidenti i segni del trauma, ma permane il dolore. Quando la lesione colpisce il collo del femore, si consiglia un intervento immediato, entro 48 ore. Questo è cruciale per ottenere un incremento delle possibilità di ripresa del paziente e della funzionalità, che si traduce in un ritorno all’autonomia pre-frattura. Al contrario, lunghe attese per l’intervento corrispondono a un aumento del rischio di mortalità e di disabilità del paziente.
Va sottolineata anche l’importanza di impostare un trattamento di prevenzione di ulteriori danni, perché, come anticipato, il rischio di un’ulteriore frattura diventa più elevato.
Anche se non esiste una cura definitiva per l’osteoporosi, sono infatti disponibili misure di prevenzione primaria e secondaria e trattamenti specifici. Tra i consigli sullo stile di vita si possono ricordare un’attività fisica regolare, un’alimentazione corretta ricca di calcio e vitamina D, l’evitare il fumo e l’assunzione eccessiva di alcolici e il mettere in atto strategie di prevenzione delle cadute.
L’autore
Paola Gregori
Giornalista medico-scientifico, Medical writer
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