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Antibiotico-resistenza nell’era del COVID-19: la pandemia silente

Antibiotico-resistenza nell’era del COVID-19: la pandemia silente

Il problema dell’antibiotico-resistenza, già emerso negli ultimi anni come una delle maggiori sfide ai sistemi sanitari mondiali, rischia di essere ulteriormente aggravato dall’attuale contesto pandemico legato all’infezione da SARS-CoV-2. Il rafforzamento delle politiche di prevenzione e controllo delle infezioni, così come una maggiore attenzione ai principi di stewardship antimicrobica, rappresentano il cardine per fronteggiare questa “pandemia dentro la pandemia”.

Data di pubblicazione: 23 agosto 2021

Dai primi casi di polmonite documentata da SARS-CoV-2 in Cina, più di 170 milioni di casi e più di 3 milioni e mezzo di decessi legati alla malattia da nuovo Coronavirus (Coronavirus disease, COVID-19) sono stati riportati nel mondo.1 Questo ha posto delle sfide senza precedenti alle misure di Governance della Salute Globale, che sono state evidenziate fin dall’inizio della pandemia.2 In accordo con ciò, la diffusione di SARS-CoV-2 a livello mondiale ha dominato ogni aspetto della Sanità, ponendo nell’ombra altri importanti problemi di Salute Pubblica già presenti, primo fra tutti l’aumento costante della resistenza agli antimicrobici. 3

Le infezioni legate a batteri multiresistenti rappresentano una vera e propria minaccia ai sistemi sanitari moderni: il peso di tali infezioni, inteso come mortalità e come disability-adjusted life years (DALYs), ovvero il numero di anni di piena salute persi a causa di una malattia, è infatti comparabile con il peso cumulativo di influenza, tubercolosi e HIV e ha dimostrato di essere aumentato notevolmente negli anni fra il 2007 e il 2015.4  Tale peso, peraltro, è apparso maggiore in alcuni Paesi Europei, primo fra tutti l’Italia. 4

In un contesto di estrema incertezza nella gestione del paziente con COVID-19, la prescrizione di antibiotici è divenuta chiaramente una delle problematiche maggiori all’interno di ogni contesto assistenziale.

Antibiotico-resistenza in relazione alla COVID-19

Consumo di antibiotici nel corso di pandemia

Il problema dell’antibiotico-resistenza nel corso della pandemia da SARS-CoV-2 potrebbe essere legata a vari fattori. Uno fra questi è l’aumento della prescrizione di antibiotici.

Una quota importante di pazienti con diagnosi di COVID-19 si presenta con febbre e sintomi respiratori, associati al riscontro radiografico di infiltrati polmonari bilaterali. 5 Queste caratteristiche rappresentano segni distintivi anche delle polmoniti batteriche, che per definizione, necessitano di antibiotico-terapia. Per tale ragione, già dai primi studi sulle polmoniti in corso di COVID-19 è stato documentato un largo impiego di antibiotici. In una review di Rawson e colleghi 6 è stato mostrato che circa il 72% dei pazienti con diagnosi di COVID-19 ha ricevuto antibiotico-terapia, spesso ad ampio spettro, sia in setting assistenziali critici che ordinari. Alcune esperienze iniziali addirittura indicavano un tasso di prescrizione antibiotica pari al 99% dei pazienti ricoverati con COVID-19, maggiormente fluorochinoloni (85%), seguiti da cefalosporine (33%) e carbapenemi (24,5%). 7

Il razionale dell’impiego di antibiotici in corso di COVID-19 si basa, inoltre, sulle passate esperienze di infezioni batteriche in corso di influenza, dove gli studi documentavo una probabilità di co-infezione o sovra-infezione batterica nell’11-35% dei pazienti ospedalizzati, causate il più delle volte da Streptococcus pneumoniae e Staphylococcus aureus.8

L’esatta incidenza di sovra- o co-infezione batterica (e/o fungina) nei pazienti con COVID-19 è meno chiara, ma apparentemente minore rispetto a quella riportata per l’influenza. Garcia-Vidal e colleghi,9 in una coorte di 989 pazienti ammessi in Pronto Soccorso per polmonite correlata a COVID-19, riportano un tasso di co-infezione batterica acquisita in comunità pari al 3%, la maggior parte della quale rappresentata sempre da Streptococcus pneumoniae e Staphylococcus aureus; per il resto, solo il 5% circa dei pazienti ha sviluppato infezioni ospedaliere (soprattutto polmoniti associate a ventilatore, polmoniti acquisite in ospedale e infezioni del torrente ematico), causate principalmente da EnterobacteralesPseudomonas aeruginosa e Staphylococcus aureus, e acquisite nella maggior parte dei casi nei setting di Terapia Intensiva. Simili risultati sono stati riportati in altri Paesi europei, come documentato dal lavoro di Hughes e colleghi,10 in cui la prevalenza di co-infezione batterica si attestava intorno al 6% nella coorte di pazienti ammessi in due ospedali londinesi.

Pur metodologicamente limitati dalla natura retrospettiva degli studi citati e dalla mancanza di un confronto diretto con il tasso di sovrainfezioni registrate nelle coorti di pazienti non affetti da COVID-19, i dati a disposizione sembrano pertanto non giustificare l’elevata prescrizione di antibiotici nel contesto dell’infezione da SARS-CoV-2.

La mancanza di un corretto utilizzo degli antibiotici nel contesto assistenziale ospedaliero può dipendere, a sua volta, dall’aumentata difficoltà nel reperire consulenze specialistiche infettivologiche, nonché dalla compromissione o rallentamento dei programmi di antimicrobial stewardship, cioè la scelta ottimale del trattamento antimicrobico in termini di farmaco, dosaggio e durata, all’interno delle strutture sanitarie, legati agli elevati carichi lavorativi e allo shift delle risorse verso la pandemia.11-13

Peraltro, l’incremento dell’uso di antibiotici non rappresenta esclusivamente un problema intraospedaliero: in alcune regioni del mondo è stato riportato un aumento dell’impiego di farmaci (specialmente antibiotici) da parte dei pazienti non trattati in ospedale, in gran parte assunti senza prescrizione medica. 14

A questo si aggiunge anche l’incertezza, almeno iniziale, delle linee guida sul trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2, che indicavano come potenziali armi terapeutiche farmaci quali l’azitromicina. 14,15

Misure di prevenzione e controllo delle infezioni

Durante la pandemia da COVID-19, le misure di prevenzione e controllo delle infezioni possono influenzare in maniera diversa la diffusione di organismi multiresistenti. Se da un lato si potrebbe pensare che il potenziamento delle misure di isolamento da contatto e standard, così come l’aumento della disinfezione degli ambienti, possa rappresentare un beneficio in termini di riduzione del rischio di colonizzazione o infezione con organismi multiresistenti, dall’altro lato il forte incremento dei ricoveri per COVID-19 rende le pratiche di controllo delle infezioni meno efficaci attraverso vari meccanismi.14,16

In primis i prolungati turni di lavoro rendono molto più difficoltosa per gli operatori sanitari l’aderenza alle norme di isolamento da contatto, dovendo indossare costantemente la stessa divisa di protezione anche nell’assistenza a pazienti diversi. 14 A questo si aggiunge una maggiore attenzione prestata nei confronti della protezione personale, piuttosto che nei confronti della prevenzione della trasmissione dei germi multiresistenti fra i pazienti, nonché una carenza di personale sanitario, rispetto al numero di pazienti con COVID-19 ricoverati in strutture sanitarie sovraffollate (specialmente personale con appropriata formazione nell’ambito della prevenzione e controllo delle infezioni). 14,16

Un altro elemento favorente la colonizzazione e l’infezione con patogeni multiresistenti si associa al prolungato periodo di degenza media dei pazienti ricoverati con COVID-19, che a sua volta favorisce l’incremento nella prescrizione di antibiotici. 14,16,17

Bisogna poi tener presente che le misure di prevenzione e controllo delle infezioni possono temporaneamente subire un rallentamento (ad esempio per quanto riguarda la possibilità di effettuare uno screening precoce per germi multiresistenti) vista la diversa allocazione delle risorse di laboratorio in periodo pandemico. 14

Un’altra potenziale minaccia, infine, riguarda l’impiego degli stessi agenti biocidi usati per la disinfezione delle superfici e quella personale, anche nei setting non ospedalieri: un’esposizione a bassi livelli di alcuni di questi agenti può, infatti, favorire la selezione di ceppi di microrganismi resistenti e incrementare il rischio di cross-resistenza agli antibiotici, particolarmente quelli impiegati nel trattamento dei batteri Gram-negativi.18,19

Fronteggiare l’antibiotico-resistenza durante la pandemia

Partendo da quanto detto in precedenza, appare chiaro che la limitazione dell’insorgenza dell’antibiotico-resistenza in corso di pandemia richieda la messa in campo di soluzioni diverse e approcci integrati.

Primo fra tutti, è necessario che vengano utilizzate e implementate linee-guida per l’utilizzo della terapia antimicrobica secondo i principi dell’antimicrobial stewardship. Sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità 20 che la Società Europea di Microbiologia Clinica e Malattie Infettive (ESCMID)21 hanno proposto delle guidance per il corretto impiego della terapia antibiotica. In sintesi, la terapia antibiotica non è giustificata nei casi di COVID-19 lievi e moderati a meno che non vi siano dei segni e sintomi di un’infezione batterica associata. 15,20 Nei casi di malattia severa, invece, l’impiego della terapia antibiotica empirica è raccomandato: l’uso di antibiotici dovrebbe mirare a trattare tutti i patogeni probabili, basandosi su giudizio clinico, fattori dell’ospite ed epidemiologia locale. Allo stesso tempo rimane fondamentale una rivalutazione quotidiana della terapia al fine di un’eventuale de-escalation. La durata della terapia, inoltre, dovrebbe essere più breve possibile, solitamente intorno ai 5-7 giorni.20

È chiaro che l’aderenza a tali linee guida presuppone un training continuo degli operatori sanitari, al fine di saper riconoscere i segni e sintomi di COVID-19 severo e i segni di una sovrainfezione batterica o fungina.15

Allo stesso tempo occorre saper ridurre il bisogno di devices medici che incrementano la possibilità di sovrainfezioni batteriche e quindi l’uso di antibiotici, così come saper implementare le pratiche di controllo e prevenzione delle infezioni, con massima cautela, ad esempio, nell’utilizzo di biocidi per la disinfezione degli ambienti e del personale.15

Oltre a quanto legato direttamente all’infezione da COVID-19, bisogna poi tener conto della possibile interruzione, in periodo pandemico, nelle forniture dei servizi sanitari e dei trattamenti essenziali, come i farmaci antiretrovirali, anti-tubercolari e, non ultimi, i vaccini. La mancata dispensazione dei vaccini, in particolare, incrementa il rischio di infezioni, potenzialmente portando a un incremento dell’uso di antibiotici.15

Un altro passo verso la riduzione dell’antibiotico-resistenza riguarda infine l’implementazione dello screening per COVID-19, al fine di confermare quanto prima le diagnosi, specialmente nei casi sospetti, ed evitare l’inizio inappropriato di antibiotico-terapia empirica.

Conclusioni e previsioni

L’evoluzione dell’antibiotico-resistenza durante la pandemia da COVID-19 è difficilmente prevedibile. Da un lato, l’aumento della prescrizione di antibiotici e le difficoltà nel portare avanti progetti di stewardship nei diversi setting assistenziali rende plausibile un aggravamento della problematica nei prossimi anni.

D’altro canto, l’aumentata sensibilizzazione della società nei confronti delle minacce infettive e del concetto di trasmissione delle malattie potrebbe rappresentare un driver importante per un impegno concreto dei sistemi sanitari nei confronti del problema dell’antibiotico-resistenza. Nonostante un ritrovato impegno verso il rafforzamento delle policies di controllo e prevenzione delle infezioni, i cambiamenti legati a un miglioramento di tali procedure potrebbero impiegare anni a dare prova di un risultato tangibile.

Pur non essendo pertanto perseguibile, in questo momento, una previsione concreta del futuro panorama sanitario, rimane la certezza che nei prossimi anni bisognerà colmare, attraverso la ricerca, le lacune alle attuali conoscenze epidemiologiche e assicurare che le attività di antimicrobial stewardship divengano una parte integrante della risposta alla pandemia.

L’autore

Dr Alberto Borghetti

Medico specialista in Malattie Infettive

Bibliografia

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