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Vedere il futuro: i progressi del digitale in campo oftalmologico

Vedere il futuro: i progressi del digitale in campo oftalmologico

Occhi bionici, lenti a contatto attive, realtà aumentata sono solo alcune delle innovazioni che la tecnologia digitale sta portando in campo oftalmologico.

Data di pubblicazione: 09 aprile 2018

Nei primi giorni di febbraio 2018, è stato reso noto che presso l’Unità di Oculistica dell’IRCCS, Ospedale S. Raffaele a Milano, è stata impiantata per la prima volta in Italia una protesi sottoretinica, ovvero una sorta di retina artificiale. Si tratta di un microchip assimilabile ai sensori che equipaggiano le fotocamere digitali ed i moderni smartphone. Il chip in questione è il modello Alpha AMS, misura circa 3,2×4 mm e la sua superficie è composta da 1.600 fotodiodi, disposti a formare una matrice.

L’installazione della protesi non è certo semplice – sono servite 11 ore di operazione per inserire il microchip ed i cavi sottocutanei che gli consentono di “dialogare” con l’unità di controllo esterna e ricevere energia tramite un sistema a induzione.

Tuttavia, nel mondo ci sono già oltre un centinaio di persone che vivono con un occhio bionico. Nel periodo 2015-2016 sono stati impiantati ben 117 esemplari del modello Argus II, un apparecchio che necessita però di una telecamera esterna ed ha una risoluzione di 60 pixel (6×10). Con Alpha AMS, invece, non c’è più bisogno della telecamera e l’apparecchio possiede una risoluzione di molto superiore, che permette sia di distinguere ombre e luci (come nei modelli Argus), sia di raggiungere un’acuità visiva di 0,36 decimi, contro gli 0,16 dell’Argus (che però vanta un campo visivo più grande, 20 gradi contro 15).

Al momento, gli impianti sottoretinici possono essere utilizzati in un numero limitato di patologie, in particolare quelle in cui la superficie della retina degenera (come nella retinite pigmentosa), ma la sua parte posteriore conserva le proprie funzioni e soprattutto il nervo ottico è integro. Oggi la ricerca punta per prima cosa ad aumentare la risoluzione del dispositivo in modo da consentire una visione migliore; una volta raggiunto questo obiettivo, il traguardo seguente sarà di interfacciare il sensore direttamente con il nervo ottico.

Sembra quasi fantascienza, ma in realtà sappiamo da anni che è possibile usare dispositivi microelettronici per trasmettere il segnale attraverso un nervo danneggiato, e molte equipe di ricercatori stanno lavorando su questo aspetto, con l’obiettivo di aggirare per esempio gravi lesioni spinali.

Il vero punto critico è rappresentato dalla “codifica”, ovvero non tanto come mandare i segnali al nervo ottico, ma come creare un segnale equivalente a quello emesso dalla retina. Ma anche nel settore delle neuroscienze, la ricerca sta facendo passi da gigante. Esistono attualmente dispositivi sperimentali in grado di captare i segnali elettrici prodotti dal cervello, decodificando gli impulsi inviati ad esempio ai muscoli. Dal 2016, gli esperti di neurologia computazionale (la branca della ricerca che usa computer ad alta potenza di calcolo per decifrare i segnali neurali) dell’Università di Washington sono già in grado di analizzare praticamente in tempo reale i segnali emessi dal cervello mentre una persona osserva un oggetto, distinguendo per esempio se si tratta di un volto umano o di un oggetto inanimato. A questo campo di ricerca, si è interessato anche Microsoft, che ha messo in campo il suo sistema Azure, una machine learning che consente di sviluppare modelli di apprendimento della macchina, associando visivamente algoritmi e dataset.

Lenti a contatto digitali

Chi ha potuto provare i Google Glass, gli occhiali digitali di Google, ha apprezzato la comodità di avere uno schermo trasparente che proietta davanti ai nostri occhi ogni sorta di informazione utile, dai messaggi che ci arrivano sullo smartphone alle indicazioni stradali. Ma provate a pensare cosa succederebbe se, invece di avere uno schermo posizionato davanti all’occhio, le stesse funzioni di visualizzazione fossero svolte da un display microscopico integrato in una lente a contatto. Questo progetto è già stato realizzato a livello di prototipo (dall’Università di Washington) e probabilmente diventerà un prodotto commerciale in un tempo piuttosto breve. Due problemi maggiori che sono stati risolti con successo:

  • l’alimentazione. Problema risolto tramite l’uso di circuiti a bassissimo assorbimento e all’integrazione di sottili spire di captazione che consentono di “catturare” energia tramite induzione;
  • l’interscambio dati. Problema che ha trovato una soluzione ancora più ingegnosa nella tecnologia di comunicazione “interscatter”, che in sintesi cattura le onde radio Bluetooth emesse da un dispositivo nelle vicinanze – per esempio uno smartwatch – per convertirle in un segnale Wi-fi attraverso il quale trasmettere i propri dati. Questo in pratica consente alla lente di comunicare digitalmente via radio senza avere a bordo un vero e proprio trasmettitore.

Le lenti a contatto attive (definite anche digitali o smart) integrano al loro interno circuiti microelettronici, dispositivi luminosi e sensori bionici, che aggiungono alla lente, oltre alla sua “storica” funzione di correzione della vista, tutta una serie di funzionalità legate alla comunicazione, al monitoraggio dello stato di salute, e persino all’entertainment. Per esempio, i modelli dotati di display trasparente possono trovare applicazione nel settore dei videogiochi, ma anche in quello per l’aiuto alla disabilità – per esempio, un soggetto non udente può avere con sé un dispositivo digitale che ascolta il parlato e lo traduce in un testo scritto, il quale viene trasmesso al display della lente per essere visualizzato in tempo reale. Lenti di questo tipo possono anche sostituire gli smartphone, o aiutare gli ipovedenti sovrapponendo all’immagine reale del mondo esterno una rappresentazione semplificata e resa più leggibile, generata tramite computer grafica. Questo tipo di applicazioni, dette di “realtà aumentata” (augmented reality) sembrano essere il segmento che avrà il maggiore sviluppo negli anni a venire.

Interessanti anche le possibili applicazioni di lenti dotate di sensori biometrici. Il sensore è tipicamente racchiuso fra due strati di hydrogel che costituiscono la lente vera e propria, e un minuscolo foro permette al liquido lacrimale di raggiungerlo. Il liquido contiene informazioni importanti sullo stato di salute di una persona, come per esempio il livello di glucosio che ha nel sangue. Integrando in una lente un sensore del livello di glucosio e un trasmettitore in grado di inviare i dati a un registratore digitale esterno, i pazienti diabetici potrebbero evitare l’utilizzo del classico glucometro; questo, almeno, quando si sarà studiata a fondo la relazione fra il contenuto di glucosio nelle lacrime e quello nel sangue. La scarsa affidabilità della misura, infatti, ha costituito fino a oggi un ostacolo insormontabile, che sta rallentando tutti i team al lavoro su questo tipo di dispositivi.

Per esempio Alphabet (la casa madre di Google) tramite la sua consociata Verily, in collaborazione con Alcon (una branca dell’azienda farmaceutica Novartis), sta lavorando su questo tipo di lenti, e la difficoltà nella messa a punto del sistema di misura ha determinato un ritardo sulla data per la commercializzazione (originalmente prevista nel 2016). Indicativamente non sarà possibile avere a disposizione il prodotto prima del 2022, e comunque a condizione che i dati sul glucosio proveniente dalle lacrime si dimostrino significativi.

Ci sono altri tipi di sensori che hanno già dimostrato validità ed efficacia e sono quindi candidati a salire a bordo delle future lenti a contatto. Per esempio, l’FDA americana ha già approvato una lente dotata di uno speciale sensore di pressione, capace di monitorare ogni cambiamento di pressione intraoculare nell’arco delle 24 ore. Questo dispositivo dovrebbe migliorare la gestione del glaucoma, oggi seconda maggiore causa di cecità a livello mondiale e con 70 milioni di persone affette. Infine, c’è anche chi punta a usare la lente non solo per uso diagnostico, ma anche a scopo terapeutico. Un’altra azienda farmaceutica, per esempio, si è alleata con Hewlett-Packard per sviluppare lenti a contatto stampate in 3D, e sta mettendo a punto una lente che è in grado di rilasciare farmaci in modo controllato. Il primo prodotto, a quanto sembra, sarà una lente con funzione anti-allergica.

Di fatto, le possibilità aperte all’oftalmologia dalla progressiva miniaturizzazione delle tecnologie digitali sono davvero infinite. Per capirle appieno è però indispensabile avere, è proprio il caso di dirlo, un’ampia visione del futuro.

L’autore

Gianluigi Bonanomi

Giornalista professionsita, con expertise in ambito technology e digital.

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